Filippo
Costa fa la guardia di finanza. Di modesta estrazione sociale
ma pieno di ambizione. La carriera nel suo ambiente gli sta
stretta, lui punta più in alto. Costretto a confrontarsi
personalmente con la corruzione del suo lavoro si rende conto
che le sue aspirazioni di ascesa sociale sono tutt’altro
che utopistiche. Aiutato da una donna molto più vecchia
di lui con cui inizia una relazione riesce ad addentrarsi
nel mondo dell’alta finanza ed intraprendere l’ambita
scalata sociale. Ma si sa, quando si lascia una strada per
percorrerne un’altra bisogna lasciarsi dietro tutto,
forse anche se stessi…
Filippo è uno squalo con tanta fame. Così lo
ha definito Marra. E il mare in cui sguazza sembra offrirgli
un’ampia gamma di scelta.
Il menu è variegato e sopraffino: sentimenti (rin)negati,
remore saltate, dignità esaltata, innocenza perduta,
ambizione intransigente, riscatto sociale. La freddezza dell’archetipo
implica però maggiore lucidità da parte di un
(anti)eroe nero. In realtà il gioco sfugge di mano
a questo pesciolino in cerca di rivendicazione. Il passato
con la sua scure torna a mietere teste. E il ricorso al sangue
è inevitabile.
Come in un pamphlet di cattivo gusto. Tutto ci viene offerto
con una luce livida, né compiaciuta né distaccata.
Troppi i clichés cui si sottosta placidamente. A partire
da una Roma snaturata e consunta fino ai giochetti perversi
del cuore diviso in due. Deja vu da maieutica boriosa. Senza
la giusta convinzione. E con molta sciatteria emotiva. L’azione
non corrisponde mai al modo di essere di chi la compie. Tutto
scivola via cinicamente. Ma non, come vorrebbe farci intendere
Marra, per un innato senso di inadeguatezza sociale. La sublimazione
del male si divincola malamente anche negli alti ranghi se
non si hanno i mezzi morali indispensabili a sostenerne il
peso gravoso.
Innaturale sì ma mai estrema. Con sprazzi di humour
involontario da pantomima degli eccessi, eccessi che tuttavia
non ci sono. (In)elegante. (In)eccessivo. (In)esistente.
[marco catola]