Sophie
(Emmanuelle Béart), Celine (Karin Viard) e Anne (Marie
Gillain), le tre sorelle ormai adulte vivono ciascuna la propria
vita. I legami familiari sono inesistenti.
Sophie, la più grande, è sposata con Pierre
(Jacques Gamblin), un fotografo con il quale ha avuto due
figli. La coppia è in crisi. Anne, la più giovane,
studentessa di architettura, ha una relazione con Frederic
(Jacques Perrin), uno dei suoi professori. Celine è
sola ed è l’unica ad occuparsi della madre (Carole
Bouquet), che vive in una casa per anziani.
All’improvviso, un giovane uomo, Sebastian (Guillaume
Canet), entra in contatto con Celine: è affascinante
e sembra intenzionato a sedurla. La sorprendente rivelazione
che Sebastian farà a Celine causerà il riavvicinamento
tra le tre sorelle, le aiuterà ad accettare il passato
e forse a vivere pienamente il presente.
Opera seconda di Danis Tanovic (No Man’s
Land), tratto dalla trilogia “Il paradiso, l’inferno,
il purgatorio” di Krzysztof Kieslowski e Krzysztof Piesiewicz,
L’enfer ci cala dall’alto negli inferi di cuori
aridi, consumati da anni di incomprensioni, gelosie sottaciute,
invidie lasciate sedimentare e poi esplose violentemente che
frantumano l’unità familiare patriarcale attraverso
un oscuro episodio che viviamo a mo di flashback nell’incipit
del film. La storia dell’essere umano è un susseguirsi
di azioni umane ed azioni divine, in bilico tra la casualità
ed il destino, dove su un tessuto di razionalità si
innesta l’imponderabile ed imprevedibile.
Questo è l’Inferno messo in scena dal regista
serbo, un non-luogo (più dimensione dell’anima
che non spazio geograficamente definito) in cui l’apparenza
inganna ed i pregiudizi, le approssimazioni di una realtà
sfaccettata ma inafferrabile nella sua interezza se non quando
è troppo tardi, minano le certezze e le coordinate
del nostro agire tra gli uomini ed i sentimenti.
L’estetismo pirotecnico della scuola balcanica e l’intellettualismo
di un certo cinema francese, sono gli estremi su cui si muove
questa curioso ibrido cinematografico, sorretto da un pugno
di attrici straordinarie e da un finale in cui un senso di
beffarda impotenza e sconforto nei confronti degli esseri
umani segnano il tono conclusivo di questo melodramma del
nostro scontento. [fabio
melandri]