L’aria,
perché evoca la libertà. Salata perché
è irrespirabile, corrode i polmoni, è a termine.
Così il giovane e debuttante regista Alessandro Angelini
spiega il titolo del film, la cui idea è nata durante
il periodo in cui prestava volontariato nel carcere di Rebibbia
a Roma. Un mondo fatto di uomini e donne chiusi in se stessi
nel dolore e rimorso nei confronti dei familiari che vivono
il carcere dal di fuori, ma ugualmente condannati ad una privazione,
non della libertà ma dell’affetto di un padre/madre,
marito/moglie.
E proprio la storia di una privazione e dei suoi effetti su
un nucleo familiare costituisce l’ossatura di un film
in cui il confronto/scontro tra i personaggi e la loro possibile
ma non sempre realizzabile convergenza rappresenta l’elemento
più convincente dell’opera.
Fabio è un giovane educatore che lavora con passione
e dedizione al reinserimento dei detenuti nella società.
Durante l’espletamento del suo dovere incontra un uomo
condannato per omicidio e diversi reati minori compiuti in
carcere che si rivelerà ben presto essere quel padre
che abbandonò la famiglia tanti anni prima. Ma nulla
è come sembra e bisogna avere la forza ed il coraggio
di sapere ascoltare per capire la verità.
Un uomo dal carattere difficile, che non rinnega in alcun
modo il suo passato, le sue scelte ed i suoi stessi errori.
Un personaggio sfaccettato a cui dona carisma, sofferenza,
vita un intenso Giorgio Colangeli, giustamente premiato alla
Festa del Cinema di Roma dove il film correva in concorso.
“Durante le riprese la sera evitavo di frequentare
la troupe. Mi chiudevo nella mia stanza a disegnare, cercando
di immaginare come ci si potesse sentire chiusi per 20 anni
in un carcere, senza famiglia, senza relazioni, senza vedere
un esterno. Ma la cosa che più ci interessava era indagare
i problemi che esistono anche in circostanze normali tra un
padre ed un figlio. La situazione carceraria serviva solo
ad estremizzare tali problemi.”
Una interpretazione esaltata dall’altrettanto ottima
resa di un figlio rancoroso si ma al contempo voglioso di
recuperare il rapporto con il padre reso da un Giorgio Pasotti
che depurato da una certa recitazione sovraccarica alla Muccino,
dimostra di essere un interprete ormai maturo per ruoli più
sfaccettati. “Un personaggio difficile che vive
emozioni e sensazioni forti, talvolta contraddittori. Un’implosioni
di sentimenti contrastanti tra loro” così
definisce lo stesso Pasotti il suo personaggio.
Un film che si avvale di una sceneggiatura molto matura e
verosimile benché scritta a quattro mani da due ragazzi,
Angelo Carbone ed il regista Antonelli che nella messa in
scena opta per l’utilizzo della macchina a mano funzionale
ad esaltare volti, silenzi, espressioni dei protagonisti evitando
inutili pretese autoriali, alla von Trier per intenderci.
Un film maschile alimentato da due figure femminili. La sorella
di Fabio, interpretata da Michela Cescon che risulterà
alla fine il personaggio più forte dell’intero
dramma e la fidanzata del protagonista Emma (Katy Saunders)
icona di quell’immagine familiare ambita sotto sotto
dal protagonista ma a cui sarà per lui impossibile
da realizzare. Uno dei migliori film, italiani e non, in circolazione.
Un buon viatico per l’anno che verrà. [fabio
melandri]
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