Killer Joe
id.

Anno 2010

Nazione USA

Genere thriller

Durata 90'

Uscita 11/10/2012

distribuzione
Bolero Film

Regia
William Friedkin
Sceneggiatura
Tracy Letts
Fotografia
Caleb Deschanel
Montaggio
Darrin Navarro
Scenografia
Franco-Giacomo Carbone
Costumi
Peggy Schnitzer
Musica
Tyler Bates
Produzione
Voltage Pictures, Worldview Entertainment, Picture Perfect Corporation
Interpreti
Matthew McConaughey,
Emile Hirsch,
Juno Temple,
Gina Gershon, Thomas Haden Church

 

Il ritorno al grande schermo di William Friedkin (L'esorcista, Vivere e morire a L.A., il braccio violento della legge), dopo essersi occupato di televisione (C.S.I) ed opera (L'affare Makropulos al Maggio Musicale del 2011) è segnato da un dramma del drammaturgo Premio Pulitzer Tracy Letts qui nelle vesti di sceneggiatore. Il dramma dal titolo Killer Joe fece il suo debutto nel 1998 riscuotendo successi e premi in giro per il mondo tanto da essere messo in scena in 15 paesi e 12 lingue diverse.

La storia è una moderna rivisitazione pulp della favola di Cenerentola, dove una ragazzina è succube di un padre e fratello che vogliono farla prostituire con un killer che è al contempo anche un rappresentante della legge. L'unica via di fuga ad un destino già scritto sarà quello di innamorarsi del suo principe, il killer/poliziotto ingaggiato per ucciderne la madre e riscuotere l'assicurazione. Ovviamente le cose non andranno lisce come nei programmi dei protagonisti; tutt'altro...

La violentissima narrazione di Friedkin parte a singhiozzo; si fa fatica ad entrare in empatia con i protagonisti e le loro vicende (ma ci si riuscirà con il proseguo?) che appaiono alquanto meccaniche e forzate. I personaggi sono presentati senza preamboli al loro peggio, nudi di fronte alla cinepresa e non sempre e solo in senso figurato, mentre la storia in bilico tra nero a tinte fosche e tocchi di umorismo da commedia non troppo sofisticata, cozzano continuamente l'una contro l'altro, come se il regista fosse incapace di gestirle entrambe o sceglierne una che vada a vestire il racconto.

Un senso di vertiginosa incompiutezza che non si dipana lungo il corso degli eventi; più le vicende si fanno più fosche e violente, più il regista spinge sul pedale dell'umorismo sarcastico e cattivo, con personaggi perennemente fuori le righe che Friedkin dimostra di saper padroneggiare poco.

Una tale materia in mano a registi come i fratelli Coen avrebbe generato un film capolavoro, in quelle di un grande regista forse non più troppo interessato alla materia filmica, viene fuori un pasticciaccio brutto, irritante, noiosetto.
[maria mineo]