Joshua
id.
Regia
George Ratliff
Sceneggiatura
David Gilbert, George Ratliff
Fotografia
Benoit Debie
Montaggio
Jacob Craycroft
Scenografia
Roshelle Berliner
Costumi
Astrid Brucker
Musica
Nico Muhly
Interpreti
Sam Rockwell, Vera Farmiga, Jacob Kogan, Celia Weston, Dallas Roberts, Michael Mckean,
Alex Draper, Nancy Giles, Linda Larkin, Stephanie Roth Haberle
Produzione
Fox Searchlight Pictures, Ato Pictures
Anno
2007
Nazione
USA
Genere
horror
Durata
105'
Distribuzione
20th Century Fox
Uscita
11-07-2008
Giudizio
Media

Joshua è una bambino di nove anni, figlio di una coppia newyorkese agiata con un magnifico appartamento affacciato su Central Park, nel cuore di Manhattan, New York City. Ha dei nonni affettuosi ed uno zio protettivo. Ama la musica classica ed è un promettente pianista. Una vita perfetta e sena ombre… apparentemente.
Perché l’arrivo della neonata sorellina, genera una piccola crepa nella psiche e nel carattere di Joshua, che col passare dei giorni si fa sempre più minacciosa, profonda, mortale. I segnali di richiesta di attenzione ed affetto non vengono percepiti dai suoi genitori, troppo intenti il padre a coltivare una carriera lavorativa che lo riscatti da umili origini e la madre troppo concentrata sulla nuova arrivata. Osserva il regista George Ratliff: “Per la maggior parte delle persone, la storia sembra iniziare in perfetta armonia con la coppia felice per l’arrivo della figlia, ma il punto di vista di Joshua è distorto. Ciò che il ragazzo vede è il caos: la madre sembra impazzita, il padre è totalmente preso dalla sua scalata sociale e lui ritiene di dover mettere le cose in ordine”.
E mettere le cose in ordine significa eliminare l’elemento destabilizzante il proprio nucleo familiare: la sorellina.
Di bambini diabolici, assassini e psicopatici ne è pieno il mondo reale e quello di celluloide. Ma il grande merito e peculiarità di questa pellicola è la manifestazione del male non in forme “anomale”, “estranee” o “disturbanti” ma in quelle più rassicuranti ed innocue di un bambino, di un figlio. E la rappresentazione di questo male avviene attraverso una messa in scena lontana anni luce da quella che ci si aspetterebbe da un film horror, senza effettacci speciali ma attraverso la forza del cinema tout-court ovvero regia, montaggio, fotografia, luci, suoni, colonna sonora e recitazione. A tal proposito grande merito della riuscita del film è da attribuire alla performance del piccolo attore protagonista, Jacob Kogan, capace di occhiate talmente luciferine in tanta apparente innocenza da generare brividi lungo la schiena e sguardi carichi di trattenuto e celato rancore difficili da dimenticare.
Si può girare un horror senza versare una sola, minuscola, goccia di sangue? Ratliff, anche co-sceneggiatore insieme a David Gilbert, ce lo dimostra puntando sulla suspense, sul non detto e sulla privazione della visione (le morti avvengono fuori campo, ma l’effetto è ugualmente agghiacciante). Una tensione impalpabile in cui si innestano eventi, episodi a cui la regia non da cinematograficamente troppo peso ma contribuiscono a creare attesa e costruire l’orrore che da li a poco si manifesterà. Una paura atavica che si ricollega all’universo più profondo e psicologico, ponendo le sue basi su sentimenti primitivi come ansia, ossessione e paranoia. Da non perdere. [fabio melandri]