Sono
passati ben 27 anni da quando l’archeologo con il cappello
e la frusta ha fatto il suo ingresso nell’immaginario
collettivo, dando corpo e sostanza allo spirito avventuroso
di più di una generazione. Manca dal grande schermo
da ben 19 anni, quando lo lasciammo cavalcare verso l’orizzonte
colorato di rosso, il tramonto di un eroe e di un’epoca.
“Noi siamo i creatori di Indiana Jones – racconta
il regista Steven Spielberg – ma lui oramai appartiene
al mondo. Il nostro ruolo è di custodirlo, di mettere
in scena nuove avventure per chi già conosce e ama
Indiana Jones, senza dimenticare di avvincere anche i più
giovani che non sono ancora stati conquistati dal mitico personaggio.
Abbiamo realizzato un film rivolto a tutti, ai vecchi ammiratori
come ai nuovi potenziali fan.”
Nasce così il quarto capitolo della serie Indiana
Jones e il Regno del Teschio di Cristallo e quando
l’inconfondibile silhouette, spalle leggermente ingobbite
e cappello inclinato su un lato, si staglia sulla portiera
di un’auto militare in pieno deserto del Nevada, l’emozione
è quella di 27 anni fa.
Siamo nel 1957, in una base militare americana super segreta
nei pressi di Roswell.
Ebbene si, i tempi sono cambiati. Avevamo lasciato il dottor
Jones nel 1938, alle prese con il Sacro Graal, con un faccia
a faccia con Adolf Hitler ed i cattivi di turno come gli archeologi
nazisti di Himmler. Lo ritroviamo eroe di guerra, in piena
Guerra Fredda, con un’America alle prese con esperimenti
nucleari e prigioniera dell’incubo rosso alimentato
dal Senatore McCarthy. Ora i cattivi sono i comunisti della
Russia Sovietica di Stalin guidati dalla gelida Irina Spalko,
una divertente Cate Blanchett truccata come fosse Marlene
Dietrich. Il McGuffin dell’occasione è la mitica
ricerca della città di Eldorado, la città d’oro,
che sembra racchiudere un tesoro prezioso ancor più
del suo millantato bottino di preziosi: la conoscenza, il
sapere su cui si fonda l’intera umanità. La mappa
per arrivare all’Eldorado è un teschio di cristallo,
dalle fattezze assai poco umane…
Se la genesi de I predatori dell’Arca
Perduta era indissolubilmente legata al grande amore
nutrito da Spielberg e Lucas nei confronti dei film a puntate
degli anni ’30, ora sono i film di fantascienza di metà
degli anni ’50 a ispirare i fratelli terribili del cinema
hollywoodiano. Film a basso budget ma altamente accattivanti,
che ruotavano intorno ai sentimenti di sospetto e paranoia
diffusi all’epoca e ispirati dalla rapida e inquietante
evoluzione del mondo scientifico e tecnologico. Nonostante
fossero imbevuti di un terrore profondo alimentato dalla Guerra
Fredda, erano in fondo film ottimisti rispetto all’umana
generosità di riuscire a superare aggressioni da qualunque
parte arrivassero: spazio, profondità marine o terraferma.
Ma i fans della saga di Indy non rimarranno delusi nel ritrovare
anche in questa nuova pellicola l'inseparabile frusta, le
inconfondibili fanfare di John Williams, i viaggi in aereo
con le mappe dei luoghi sorvolati, gli scorpioni ed i serpenti
tanto cari ed odiati dal Nostro con in aggiunta tenutissime
formiche rosse, e naturalmente il cappello sotto cui si cela
il sorriso ironico da gran figlio di… Henry Jones Junior.
Tra i ritorni la figura di Marion, unica donna veramente amata
da Indy e prima a mollargli un bello schiaffo nel primo capitolo,
interpretata da Karen Allen ed un simpatico cameo dell’Arca
della santa Alleanza.
Divertente, caciarone quanto basta, volutamente retrò,
sostenuto da un grande ritmo, Indiana
Jones e il regno del teschio di Cristallo si colora
di una nota malinconica nell’osservare Indy con i capelli
farsi bianchi, qualche kilo di troppo portato con disinvoltura,
segnali che siamo entrati - come sottolinea l’amico
di una vita il Preside del College in cui insegna, Charles
Stanforth - “nell’età in cui la vita smette
di dare ed inizia a prendere.”
Quarto capitolo che riassume in se tutti gli elementi del
cinema “umanistico” di Spielberg e Lucas, per
convergere in un’ardito corto circuito che vede Indiana
Jones alle prese con Incontri ravvicinati
del terzo tipo. Buon divertimento.
[fabio melandri]