Un uomo
ed il suo sogno. L’uomo risponde al nome di Burt Munro,
neozelandese. Il sogno, quello di segnare il record di velocità
su terra con la sua Indian Twin Scout del 1920. Lo scenario
è l’America giovane ed innocente del 1967. La
missione, compiuta sfiorando i 201 miglia/orari sul lago salato
di Bonneville, Stato dello Utah.
Il progetto nasce dalla passione del regista Roger Donaldson
(Senza via di scampo, Cadillac
Man, Tredici giorni, Le
regole del sospetto) che diede origine nel 1972 ad
un documentario sull’uomo che realizzò l’Impresa
Burt Munro, intitolato Offerings to
the God of Speed.
Non troppo soddisfatto del tributo reso, ha impiegato la bellezza
di 34 anni per realizzare questo affresco di un’America
che non c’è più, questa fotografia su
un uomo sconosciuto alla moltitudine ma che grazie alla sua
caparbietà, passione e costanza riuscì a vincere
lo scetticismo generale e realizzare in età avanzata
il suo sogno.
Un film edificante che nonostante il lieto fine annunciato
e realizzato, riesce a farsi seguire con simpatia ed affezione,
grazie all’interpretazione di un Anthony Hopkins misurato
quanto basta ed a una regia classicamente fordiana, con i
paesaggi (dal deserto neozelandese a quello americano) che
abbracciano i personaggi dando loro spessore e profondità,
ed una leggerezza ed ottimismo alla Frank Capra.
Indian – La grande sfida
è un film volutamente retrò, che ci racconta
un’America dove la diversità è ancora
vista come una ricchezza è non un pericolo –
Munro che fisicamente viene dall’altra parte del mondo
rispetto agli Stati Uniti, viene visto dagli americani come
un marziano – dove le radici che hanno fatto grande
una nazione sono curate da quelle “mani che costruirono
l’America” dei pionieri ovvero la grande provincia
americana ed i superstiti delle tribù indiane –
il viso del nativo americano che Burt incontra sembra uscito
da una macchina del tempo -.
Munro è dipinto da Donaldson come un cowboy moderno,
dove a cavallo della sua Indian corre verso la Frontiera,
non territoriale, ma fisica nel senso di scienza, di superamento
dei limiti che il progresso tecnologico prima dispone e poi
concorre ad abbatterli.
Un film che se a priori corre il rischio di piacere solo agli
appassionati della motocicletta e della velocità, in
concreto amplia le sue prospettive puntando deciso più
che sull’aspetto sportivo su quello motivazionale che
spinge un uomo sul calar del proprio ciclo di vita a sfidare
il mondo, le leggi della fisica e quelli della realtà,
per abbracciare il sogno, l’utopia, in una parola quell’energia
che ti fa ancora sentire vivo.
[fabio melandri]