I titoli
di coda iniziano a scorrere, le luci della sala si accendono,
il film è terminato. Rimango sprofondato nella mia
poltrona; sono confuso, perplesso da quello che ho appena
visto.
Va bene, da un film ispirato a un videogioco non ci si può
aspettare molto, ma qui si esagera. Sono un tipo avvezzo alla
stroncatura, lo ammetto: stroncare è divertente, ma
con questo film sarebbe troppo facile.
Mi tiro in piedi e indosso la giacca mentre cerco disperatamente
di tirare i fili di quello che ho appena visto. Mi viene quel
un bellissimo racconto di Borges in cui il protagonista incontra
il più abbietto degli uomini ma anche in esso scorge
un chiarore, seppur acquisito e casuale, e si adopera a scoprire
da dove provenga.
Mentre mi incammino verso l'uscita decido di cercare di individuare
il chiarore di questo film: ma dove?
Non nel montaggio dozzinale, non nella sceneggiatura beota
in cui tre autori (tre!) han messo mano e nemmeno nella recitazione
inane del protagonista. Esco dall'edificio che ha ospitato
la proiezione, la brezza della sera mi avvolge, ma ancora
non mi manca la chiave da cui partire per recensire tutto
questo. Forse un'ironia non colta fra le righe? No, inutile
sperarlo. Non vi era ironia intenzionale nell'inserire amazzoni
volanti e guerrieri ninja nel bel mezzo di un'ambientazione
medioevale. Era solo kitsch.
Non so più a cosa attaccarmi. Fermo una collega: forse
la sua sensibilità femminile ha colto qualcosa nel
film che io, maschietto ottuso, non sono stato in grado di
afferrare.
-Secondo te si salva qualcosa in questo film?
-No.
L'autobus che mi porterà a casa si ferma di fronte
a me e apre le porte.
Salgo.
“Lo
studente braccato cerca rifugio sulla torre.
S’arrampica per una scala di ferro (mancano alcune traverse),
e sull’ultima piattaforma - che ha un pozzo annerito
al centro - s’urta in un uomo squallido, che sta orinando
vigorosamente al chiaro di luna. Costui gli confida la sua
professione: rubare i denti d'oro ai cadaveri vestiti di bianco
che i parsi lasciano su questa torre. Dice altre cose nefande
e fa capire che, da quattordici notti non si purifica più
con sterco di bufalo. Parla con evidente rancore di certi
ladri di cavalli di Guzerat, "mangiatori di cani e di
lucertole, uomini insomma così infami quanto noi due".
[...] Lo studente, stremato, s’addormenta.
Quando si sveglia il sole è già alto, e il ladro
è sparito; sono anche sparite alcune rupie d'argento
e un paio di sigarette di Trichinopoli. [...] Ha ancora nell'orecchio
il nome di Guzerat, e quello di una Malka-sansi donna della
casta dei ladri) di Palampur, oggetto preferito delle imprecazioni
e dell'odio del profanatore di cadaveri. Ragiona che il rancore
d'un uomo così nefando onora la donna che ne è
oggetto.” (J.L.Borges)
[davide
luppi]