In Good Company
id.
Regia
Paul Weitz
Sceneggiatura
Paul Weitz
Fotografia
Remi Adefarasin
Montaggio
Myron I. Kerstein
Musica
Stephen Trask
Interpreti
Dennis Quaid, Topher Grace, Scarlett Johansson, Marg Helgenberger, David Paymer, Clark Gregg, Philip Baker Hall
Anno
2005
Durata
109'
Nazione
USA
Genere
commedia
Distribuzione
BiM

Cosa succede se nel mezzo del cammin della tua vita ti ritrovi degradato alle dipendenze di un ragazzo che ha la metà dei tuoi anni e nessun tipo di esperienza? E se tua moglie rimane inaspettatamente in cinta? E se ti tocca accendere un secondo mutuo per pagare la retta universitaria della tua primogenita diciottenne? E questa instaura un’affettuosa amicizia del tuo capo-ragazzino? Se il tuo giovane boss si auto-invita a casa tua per troppa solitudine? Cosa succede? Sai dirmi cosa può succedere?
Gli effetti della globalizzazione subiti da un punto di vista familiare. Una globalizzazione che attraverso la parola magica “sinergia” riesce a mischiare il baseball con i cellulari, il football con i computer, l’hockey con i korn-flakes, che “lascia andare” anziché “licenziare”. Una vuota e spersonalizzante ricerca del successo del raggiungimento dell’obiettivo finanziario, dello sfruttamento del trend economico positivo, dell’acquisizione societaria a livello internazionale che ci riporta indietro sino agli Anni Ottanta, quelli degli Yuppies ci viene qui riproposta all’interno di una struttura narrativa da commedia agrodolce, capace di mescolare con sapienza i momenti di maggior impatto emotivo con calibrati registri comici. Una commedia dai dialoghi spigliati, a tratti spontaneamente commuovente diretta da quel Paul Weitz che aveva già dato prova di leggerezza nel racconto ed interesse nei meccanismi che legano gli uomini tra loro all’interno di quella sovrastruttura culturale denominata famiglia in About a Boy e American Pie. Con In good company conferma il suo indubbio talento nella descrizione dei comportamenti umani e nella personale convinzione che l’uomo pur essendo un’isola ha bisogno di essere immerso in un arcipelago fatto di ponti relazionali e passaggi obbligati per indirizzare la propria vita verso porti scuri al riparo dalle tempeste.
Avvalendosi di un perfetto cast capitanato da un redivivo Dennis Quaid, una sempre bella ed impertinente nella sua eterea adolescenza Scarlett Johansson e la rivelazione Topher Grace capace di rendere con straziante partecipazione la dolente solitudine del personaggio, In good company può essere considerata una sorta di versione americana dell’italico Volevo solo dormirle addosso, con tutti i pregi (molti) ed i difetti (pochi e trascurabili) che caratterizzano e distinguono il cinema americano da quello italiano. Vedere per credere.

[fabio melandri]