Negli
anni 20 Lwow, città della Polonia, contava la terza
comunità ebraica del paese; al momento dell’ingresso
dei sovietici nel ’44, solo trecento ebrei erano ancora
vivi. Durante la Seconda Guerra Mondiale l’ordine impartito
nei loro confronti erano i lavori forzati e la loro uccisione.
Il film ambientato nel 1943 diventa quindi una carneficina.
Agnieszka Holland non ci risparmia dal dolore e ci presenta
la realtà così come è stata. Senza aggiungere
nient’altro rispetto a quanto già non sia stato
fatto nella storia della cinematografia dedicata allo Shoah,
la regista ci porta nel pieno del delirio dello sterminio
ebraico nel campo di Janowska a Lwow, in quella che oggi è
l’attuale Leopoli o Lviv bella città dell’
Ucraina, che vanta il proprio centro storico come patrimonio
Unesco.
Come Oskar Schindler nel premiatissimo film di Steven Spielberg,
il quale portò in salvo più di mille ebrei in
Cracovia, anche la città di Lwow ha il suo uomo della
salvezza. Difficile dire più tristemente, ma sicuramente,
quasi sempre al margine tra la disonestà e l’umanità,
l’impresa di Leopold Sacha cupa e sciagurata all’inizio,
ci commuoverà profondamente.
Ispettore fognario, Leopold conosce
come le sue tasche la fitta rete sotterranea della città,
tra il letame avanzano muniti di una torcia, lui e il suo
aiutante.
Abituato alle piccole truffe per arrotondare, una moglie e
una figlia molto amate come attenuanti, Leopold sembra aver
fatto il colpo migliore quando sorprende un piccolo gruppo
di ebrei nascondersi sotto le fogne. In cambio di denaro l’ispettore
gli fa strada e li mette al riparo. Agli ebrei affittuari
del sottosuolo non resta che riporre quell’ ultima speranza
negli occhi corrotti e a volte violenti di Leopold.
La telecamera della regista si sposta tra il sommerso e la
superfice mostrandoci le crudeltà che accadono sul
suolo di una città presa d’assedio e la vita
che tace impaurita al di sotto di esso.
Come era facile che accadesse a quei tempi un ebreo valeva
molti soldi, ma Leopold, ormai compromesso con la giustizia,
decide di andare fino in fondo traghettando per mesi quel
gruppo di persone, uomini donne e bambini ai quali la vita
era negata. Comincia a nutrirli con gli stessi soldi che riceve
in cambio del suo silenzio, per poi non chiederne più.
La sua missione diviene presto solidale, Leopold è
uno di loro.
La
Vita è Bella e Train
de Vie sottolineano la follia dello sterminio
con degli espedienti ironici, come quello di far nascere da
un campo di concentramento un gioco per un bambino, in cui
tutti partecipavano per vincere un carro armato, oppure un
falso treno di deportazione con falsi ebrei e falsi nazisti
per beffare il carnefice. In
Darkness si racconta ancora una volta la tragedia
nelle sue vere vesti, mescolando un thriller di guerra con
il dramma storico, in cui si intrecciano storie umane di amore
e di amicizia. Ma è anche un film ad altra tensione
che per tutta la sua durata, 145 minuti, ci terrà con
il fiato sospeso. Un argomento inesauribile per il numero
di vite che ne hanno preso parte per i modi diversi di poterlo
raccontare, quando uccidere lo si faceva per eseguire degli
ordini, per gioco o per stizza e cercare di sopravvivere lo
si faceva per diritto.
[silvia langiano]