Agata
(Valeria Golino) e il marito Manfredi (Lorenzo Balducci),
sono innamorati e pieni di passione. Trascorrono le ore chiusi
dentro casa, in camera da letto a vivere la loro intimità.
Una mattina di sole, Manfredi viene assassinato. Ad ucciderlo
è Salvo (Kaspar Capparoni) - uno sbandato - che punta
il fucile giusto per sfogare la rabbia per la condizione di
emarginazione e squallore in cui vive.
Da questo momento la vita di Agata si divide in due. Da una
parte il desiderio di un figlio che le permetta di sentire
ancora vicino l’amato Manfredi; dall’altra il
bisogno di capire chi è il colpevole, forse per vendicarsi...
La donna trova quello che sta cercando, scopre dove vive Salvo
e, smentita l’illusoria maternità, non le resta
altro che vendicarsi da sola. Con l’abito da sposa e
il fucile caricato con un’unica pallottola, la stessa
che ha ucciso il marito, che lei ha fatto rigenerare da un
armaiolo, va incontro alla fine.
La storia, tratta da un dramma di Rocco Familiari, per certi
versi è molto simile alla pellicola scozzese Red
Road di Andrea Arnol. Ma se lì il dolore, la
rabbia e il bisogno di capire le cause della morte sono descritti
senza scadere nel didascalico o nel ridicolo, Krzysztof Zanussi
realizza una pellicola priva di tensione narrativa e troppo
compiaciuta. I dialoghi tra la Golino e il commissario Toni
Bertorelli sfiorano il pleonastico, per non parlare del breve
monologo di Remo Girone, che durante l’autopsia non
valuta le cause della morte, ma rimpiange la bellezza del
corpo ormai senza vita di Manfredi. Non può mancare
il fascio di luce che illumina gli occhi azzurri della Golino,
che si offre senza pudori alla cinepresa. Sulla carta poteva
essere un film poetico e visionario, ma non si sta parlando
di Emir Kusturica e tantomeno di Wim Wenders.
[valentina venturi]
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