Il
Grande Nord di Nicolas Vanier,
vincitore del Premio del Pubblico al TrentoFilmFestival 2005,
è una dichiarazione d’amore che il regista, un
avventuriero d’altri tempi, un Jack London dei nostri
giorni, dedica alle terre del Nord ed alla filosofia di vita
dei cacciatori ormai in via di estinzione. Il protagonista
è Norman Winther, ultimo tra i cacciatori delle Montagne
Rocciose dello Yukon, seguito passo passo nella sua “quotidianità”
tutt’altro che quotidiana, fatta com’è
di tempeste di neve, discese di fiumi tumultuosi, incontri
ravvicinati con grizzly e lupi. Si nutre dei prodotti della
natura, della caccia e della pesca, con il legno della foresta
si fabbrica la capanna, la slitta, la canoa. Quando caccia
lo fa secondo una tecnica precisa ispirata alla sua filosofia:
segue le tracce di un animale, le osserva per lungo tempo
e cerca di capire la sua esatta percezione dell’ambiente.
Norman riesce a penetrare l’immensa landa perché
passa attraverso la comprensione di ciò che essa è
veramente. Nello svolgimento dei suoi compiti di cacciatore
e boscaiolo è affiancato da un grande amico, il cane
da slitta. L’amicizia tra Norman e il cane Apache è
forse l’aspetto più toccante del film, un’amicizia
che nasce lentamente, fatta di sguardi, di condivisione di
rischi, anche mortali, e di fiducia reciproca. Un rapporto
osmotico. La moglie del cacciatore, Nebaska, un’indiana
Nahanni, è quasi una presenza secondaria, rimane sempre
nella capanna a lavorare il cuoio secondo la tradizione dei
suoi antenati, mentre Norman si lancia nelle avventure quotidiane,
cacciare, pescare, andare in città a vendere le pelli
ma anche semplicemente uscire per trovare un amico, con i
suoi fedeli cani.
Ma al vero centro della storia ci sono loro, le imponenti
Montagne Rocciose, gli spazi immensi e selvaggi, il freddo,
il ciclo delle stagioni, un ecosistema in cui l’uomo
ha un ruolo specifico.
La voce off del protagonista-narratore ben esemplifica la
filosofia del regista: il cacciatore non è semplicemente
un uomo che uccide gli animali, il suo intervento è
necessario per limitarne l’eccessiva densità,
fattore che danneggerebbe la natura stessa. L’uomo è
dunque sì un animale tra gli altri ma, per la sua intelligenza,
è stato dotato di un ruolo da equilibratore del sistema
da svolgere senza devastare ciecamente la natura perché
da quella devastazione perirà egli stesso.
Girato in oltre dodici mesi con le notevoli evidenti difficoltà
di girare una pellicola a temperature che raggiungono anche
-52°, il film testimonia un grande amore per il Nord,
più che sottolineato dalla fotografia di Thierry Machado,
che ci regala paesaggi mozzafiato e innumerevoli tramonti,
e dalla colonna sonora appositamente scritta e eseguita da
un’orchestra di archi.
[luisa giannitrapani]