Il Grande Nord
Le dernier trappeur
Regia

Nicolas Vanier

Sceneggiatura
Nicolas Vanier
Fotografia

Thierry Machado

Montaggio
Yves Chaput
Musica
Krishna Levy
Interpreti
Norman Winther, May Loo, Alex Van Bibber, Ken Bolton
Anno
2004
Durata
94'
Nazione
Canada/Francia
Genere
documentario
Distribuzione
Mikado

Il Grande Nord di Nicolas Vanier, vincitore del Premio del Pubblico al TrentoFilmFestival 2005, è una dichiarazione d’amore che il regista, un avventuriero d’altri tempi, un Jack London dei nostri giorni, dedica alle terre del Nord ed alla filosofia di vita dei cacciatori ormai in via di estinzione. Il protagonista è Norman Winther, ultimo tra i cacciatori delle Montagne Rocciose dello Yukon, seguito passo passo nella sua “quotidianità” tutt’altro che quotidiana, fatta com’è di tempeste di neve, discese di fiumi tumultuosi, incontri ravvicinati con grizzly e lupi. Si nutre dei prodotti della natura, della caccia e della pesca, con il legno della foresta si fabbrica la capanna, la slitta, la canoa. Quando caccia lo fa secondo una tecnica precisa ispirata alla sua filosofia: segue le tracce di un animale, le osserva per lungo tempo e cerca di capire la sua esatta percezione dell’ambiente. Norman riesce a penetrare l’immensa landa perché passa attraverso la comprensione di ciò che essa è veramente. Nello svolgimento dei suoi compiti di cacciatore e boscaiolo è affiancato da un grande amico, il cane da slitta. L’amicizia tra Norman e il cane Apache è forse l’aspetto più toccante del film, un’amicizia che nasce lentamente, fatta di sguardi, di condivisione di rischi, anche mortali, e di fiducia reciproca. Un rapporto osmotico. La moglie del cacciatore, Nebaska, un’indiana Nahanni, è quasi una presenza secondaria, rimane sempre nella capanna a lavorare il cuoio secondo la tradizione dei suoi antenati, mentre Norman si lancia nelle avventure quotidiane, cacciare, pescare, andare in città a vendere le pelli ma anche semplicemente uscire per trovare un amico, con i suoi fedeli cani.
Ma al vero centro della storia ci sono loro, le imponenti Montagne Rocciose, gli spazi immensi e selvaggi, il freddo, il ciclo delle stagioni, un ecosistema in cui l’uomo ha un ruolo specifico.
La voce off del protagonista-narratore ben esemplifica la filosofia del regista: il cacciatore non è semplicemente un uomo che uccide gli animali, il suo intervento è necessario per limitarne l’eccessiva densità, fattore che danneggerebbe la natura stessa. L’uomo è dunque sì un animale tra gli altri ma, per la sua intelligenza, è stato dotato di un ruolo da equilibratore del sistema da svolgere senza devastare ciecamente la natura perché da quella devastazione perirà egli stesso.
Girato in oltre dodici mesi con le notevoli evidenti difficoltà di girare una pellicola a temperature che raggiungono anche -52°, il film testimonia un grande amore per il Nord, più che sottolineato dalla fotografia di Thierry Machado, che ci regala paesaggi mozzafiato e innumerevoli tramonti, e dalla colonna sonora appositamente scritta e eseguita da un’orchestra di archi.

[luisa giannitrapani]