Franssou
(Isabelle Carré) eredita 50.000 euro da una nonna.
Non è tanto ma non è nemmeno poco, inizialmente
è titubante su cosa farci. All'improvviso scappa e
decide di spendere il suo denaro andandosene sulla Costa Azzurra.
All'Hotel Carlton - cinque stelle - di Cannes incontra Stéphane
(José Garcia). E' un imbroglione che si barcamena fra
truffe a poker e compravendite di case non sue. Vorrebbe i
soldi di Franssou per pagare un debito di gioco, ma lei non
si lascia fregare: da fanciulla sprovveduta diventa in breve
una piccola canaglia. Insieme i due cercano di imbrogliare
un ex pilota di Formula uno (François Cluzet).
Per la prima volta nella sua carriera il regista Christian
Vincent si cimenta in una commedia, la condisce di glamour
e la immerge nella dolce vita della Côte d'Azur. Una
commedia leggera che richiama ai film di Lubitsch (del quale
Vincent è profondo estimatore) e con quel sapore marcatamente
francese non cade mai nella volgarità e nella demenzialità
tipiche di alcuni simili prodotti italiani e americani. Il
motivo? Forse quella voglia di non essere a tutti i costi
politically correct (la dolce e sexy Franssou si ubriaca di
champagne tutte le sere, ha quel fare snob e sfrontato). Forse
la sceneggiatura, quei dialoghi mai banali e sempre ben ritmati,
quella trama coinvolgente e mai scontata. Non ci si annoia
mai, grazie anche ai tre protagonisti di un menage à
trois improbabile. [simone pacini]
Intervista a Christian
Vincent a cura dell'ufficio
stampa Bim
Hotel
cinque stelle è la storia di una giovane donna che
eredita 50.000 euro. Sono tanti soldi, ma niente di eccezionale…
E’ vero. Se avesse ereditato molti più soldi,
non si sarebbe chiesta cosa farsene e non ci sarebbe stato
nessun film. Avrebbe investito il denaro o si sarebbe comprata
una casa. Invece 50.000 euro sono tanti soldi, ma non una
somma enorme. E’ una somma un po’ scomoda e perciò
interessante.
Andando
a Cannes, in questo grande albergo, Franssou si vuole concedere
un po’ di lusso?
Il lusso per lei è poter cambiare vita. La sua esistenza
l’annoia e la gioia che prova ereditando questa somma
svanisce in fretta. Come dice Marc all’inizio del film:
“In realtà è seccante avere tanti soldi”.
Alla fine Franssou decide di mettersi in aspettativa e di
spendere i suoi soldi trasferendosi in un grande albergo.
Con Olivier Dazat volevamo regalare a Franssou 50.000 euro
ma a una condizione, volevamo che spendesse questo denaro
il più velocemente possibile. Volevamo che lo sperperasse.
Solo che sperperare il denaro, dilapidare la propria fortuna
non è una cosa che si improvvisa. Ci vuole esperienza.
Ed è qui che entra in gioco Stéphane. E’
lui che la alleggerirà di tutto questo denaro e che,
inaspettatamente, la farà felice.
Questa
commedia è costruita un po’ come un thriller,
con molta suspense…
Io non parlerei di suspense nel senso tradizionale del termine.
Effettivamente abbiamo costruito una sceneggiatura in cui
ci si domanda tutto il tempo cosa succederà nella scena
successiva. D’altro canto partivamo da un cliché:
una ragazza piuttosto ingenua incontra un uomo che è
interessato ai suoi soldi. E’ un genere ben preciso
che ha le sue regole e le sue convenzioni. Siamo sicuri che
Franssou e Stéphane finiranno l’uno nelle braccia
dell’altro e, allo stesso tempo, non si parla mai di
sentimenti. Per alcune persone la cosa peggiore è la
psicologia. Per me sono i sentimenti la cosa peggiore. Quello
che mi interessa fra loro due, sono i rapporti di forza. Come
l’uno faccia rigare dritto l’altro, come lui manipoli
lei, come la prenda in giro, raccontandole delle storie. Ma
molto velocemente, nell’arte della manipolazione, l’allievo
supera il maestro. Hotel cinque stelle è un film sugli
apprendisti. Una fanciulla sprovveduta diventa in poco tempo
una piccola canaglia.
Chi è
veramente Stéphane? Un truffatore?
Io sono come Stéphane. Non mi piace il termine truffatore.
Stéphane non fa del male a nessuno (a parte a Franssou
che schiaffeggia e a cui storce il braccio). Organizza delle
partite a carte, cerca di vendere delle case non sue a delle
persone che non sanno che farsene di tutto il loro denaro,
fa ridere ed è gentile con tutti. A suo modo è
un gentleman.
Perché
Franssou è attratta da Stéphane?
Per mille ragioni. I masochisti vi diranno perché lui
le ha storto il braccio. Altri vi diranno perché non
si lamenta quasi mai. E per lei è un grande cambiamento
perché viveva con un uomo che si lamentava continuamente
e che vedeva sempre tutto nero, mentre invece Stéphane
è un inguaribile ottimista. A Franssou piace la sua
malafede, il suo buonumore, la sua faccia tosta, la sua allegria,
la sua capacità di trarsi sempre d’impiccio,
ma anche la sua capacità di cacciarsi nei guai.
C’è
anche un terzo personaggio, René, interpretato da François
Cluzet. Che ruolo ha nella storia?
Perché ci sia una storia d’amore, perché
ci sia del desiderio, spesso bisogna essere in tre…Il
triangolo. Un altro René, René Girard, ha scritto
un libro molto bello sull’argomento “Mensonge
romantique et vérité romanesque”. Secondo
lui l’uomo è incapace a desiderare da solo, occorre
che l’oggetto del suo desiderio sia designato da un
terzo. Questo terzo è René. E’ lui che
fa di Franssou un oggetto del desiderio, che formula questo
desiderio e che propone un modello a Stéphane.
Inoltre, visto che eravamo in un mondo di imbroglioni, c’era
bisogno di un pollo da spennare, qualcuno che avesse dei soldi,
molti soldi. Più di dieci anni fa, assolutamente per
caso, ho cenato con un ex-pilota di Formula uno. Un tipo pieno
di soldi. Per me è diventato un modello.
Questo
pilota è allo stesso tempo depresso e brillante.
Con Olivier Dazat siamo partiti dall’idea che quest’uomo
aveva avuto un brutto incidente stradale e che, per lo shock,
aveva perso un certo numero di neuroni. Ha dei problemi di
espressione, si impappina. Però allo stesso tempo i
piloti di F1 sono dei gran lavoratori, sono delle persone
di grande precisione che cercano continuamente di guadagnare
millesimi di secondo. Il suo problema è trovare le
parole giuste. Solo che gli manca qualche rotella…Molte
volte ha delle difficoltà anche a trovare le parole
più semplici…
Quando
René è davanti a Franssou perde completamente
la lucidità…
Sì, è vero! Comincia a dire qualsiasi cosa!
Ma alla fine, quando pensa di piacere a Franssou, riprende
possesso di tutte le sue facoltà.
Mentre
scrivevate la sceneggiatura avevate già in mente gli
attori che avrebbero interpretato questi personaggi?
Si pensa sempre agli attori. All’inizio, nel 2001, pensavo
a delle altre coppie. Ma la sceneggiatura era diversa, molto
lontana dall’essere compiuta, parecchi attori l’avevano
rifiutata e io avevo lasciato, per il momento, perdere il
progetto. Nel 2003 mi si è presentata l’occasione
di girare Les enfants, per il quale avrei voluto José
Garcia. Abbiamo molto simpatizzato ma poi lui non ha fatto
il film. E’ stato un vero peccato, mi sarebbe molto
piaciuto lavorare con lui. Nel giro di due settimane mi sono
rimesso a lavorare su Hotel cinque stelle pensando a José.
Gli ho fatto leggere la sceneggiatura e lui mi ha detto subito
di sì. Riguardo Isabelle, l’avevo trovata magnifica
ne I sentimenti di Noémie Lvovsky e, a teatro, nella
pièce Un hiver sous la table, per la regia di Zabou
Breitman. Con lei avevo girato Beau fixe e ne conservavo un
ricordo meraviglioso. L’avevo sempre seguita a teatro,
al cinema…E’ magica. Ha una sorta di innocenza,
di candore, di naturalezza. Può dire tutto, fare tutto,
con leggerezza. E poi ha davvero il senso della commedia!
Vedendola
fa pensare a Grace Kelly…Sarebbe stata perfetta in un
film di Hitchcock!
E’ vero, ho anche voluto rivedere Caccia al ladro che
è ambientato sulla Costa Azzurra…Quarant’anni
dopo, il film ha quasi un valore documentario. Si vede la
Costa Azzurra com’era prima della speculazione edilizia.
Si vede il Carlton senza i palazzi che lo circondano.
E come
avete scelto François Cluzet?
François fa parte di quel gruppo di attori con cui
volevo lavorare. Fra Sauve-moi e Les enfants sono passati
cinque anni durante i quali non ho lavorato. Non riuscivo
a ultimare i miei progetti. Ho scritto una sceneggiatura in
cui François aveva il ruolo da protagonista, ma il
progetto non è mai andato in porto. Mi sono detto che
un giorno avremmo lavorato insieme per un altro film. Gli
ho fatto leggere la sceneggiatura. Ero convinto che fosse
perfetto per quel ruolo. Lo divertiva interpretare la parte
di René. E’ magnifico.
Vi siete
ispirati a celebri coppie di imbroglioni del cinema?
Oggi lo posso confessare, io sono un vecchio cinefilo….
Ho visto molti film, sia alla Cinématheque che all’Action
Lafayette, prima che fosse trasformato in un supermercato.
E’ lì che ho scoperto gli attori americani degli
anni ‘30, ‘40 e ‘50, lì ho visto
tutti i film di Lubitsch.
Da quel momento, in materia di commedia, non è stato
fatto niente di meglio. Non sono un nostalgico di quell’epoca.
Non penso che si stesse meglio prima, tuttavia rimpiango il
posto che occupavano quegli autori. Erano persone brillanti,
molto colte. I loro film erano divertenti, intelligenti e
malgrado tutto questo gli studios dell’epoca non esitavano
ad affidargli delle commedie!!! Inoltre riuscivano a unire
tutti i tipi di pubblico, si rivolgevano a tutti, mentre invece
adesso i pubblici diversi non si mescolano più.
Si ha
l’impressione che la sua regia sia un po’ diversa
rispetto ai film precedenti. Girare questa commedia le è
piaciuto in modo particolare?
Ho provato un piacere immenso nel girare questo film. Dopo
La séparation ho attraversato una specie di crisi durante
la quale tutto mi pesava: la scrittura, le riprese. Mi domandavo
a che scopo facessi tutto questo. Non mi sentivo a mio agio.
Questo ha prodotto Je ne vois pas ce qu’on me trouve,
che è un film che amo molto, che è divertente
per certi aspetti ma fondamentalmente è deprimente.
Cercavo una certa verità, usavo la macchina a spalla,
pensavo anche a girare in digitale…
E adesso?
Mi sembra che vada tutto bene. La mattina sono contento di
veder arrivare i camion. Non bisogna confondere macchina da
presa leggera e leggerezza. La leggerezza è uno stato
d’animo, sia che ci siano dieci o cinquanta persone
sul set.
Questo
è il suo settimo lungometraggio ma la sua prima vera
commedia. Perché ha aspettato così tanto?
Ottima domanda…Perché? Forse non pensavo che
sarei stato in grado di fare una commedia…e poi perché
nella vita non sono divertente. Non ho la battuta pronta.
Non mi sento a mio agio in società. Non so raccontare
le storie. E, allo stesso tempo, quando vedo i comici, quelli
veri, che scrivono delle sceneggiature e passano alla regia,
mi dico che non si può lasciar stare! Bisogna fare
qualcosa!