Hotel cinque stelle
Quatre étoiles
Regia
Christian Vincent
Sceneggiatura
Olivier Dazat, Christian Vincent
Fotografia
Hélène Louvart
Montaggio
Yves Deschamps
Scenografia
Patrick Durand
Costumi
Carine Sarfati
Suono
Olivier Mauvezin
Produzione
StudioCanal, TF1 Films Production, Canal+, TPS Star
Interpreti
Isabelle Carré, José Garcia, François Cluzet, Jean-Paul Bonnaire,
Michel Vuillermoz, Mar Sodupe, Guilaine Londez, Charline Paul, Olivier Dazat
Anno
2006
Genere
commedia
Nazione
Francia
Durata
101'
Distribuzione
Bim Distribuzione
Uscita
11-05-07

Franssou (Isabelle Carré) eredita 50.000 euro da una nonna. Non è tanto ma non è nemmeno poco, inizialmente è titubante su cosa farci. All'improvviso scappa e decide di spendere il suo denaro andandosene sulla Costa Azzurra. All'Hotel Carlton - cinque stelle - di Cannes incontra Stéphane (José Garcia). E' un imbroglione che si barcamena fra truffe a poker e compravendite di case non sue. Vorrebbe i soldi di Franssou per pagare un debito di gioco, ma lei non si lascia fregare: da fanciulla sprovveduta diventa in breve una piccola canaglia. Insieme i due cercano di imbrogliare un ex pilota di Formula uno (François Cluzet).
Per la prima volta nella sua carriera il regista Christian Vincent si cimenta in una commedia, la condisce di glamour e la immerge nella dolce vita della Côte d'Azur. Una commedia leggera che richiama ai film di Lubitsch (del quale Vincent è profondo estimatore) e con quel sapore marcatamente francese non cade mai nella volgarità e nella demenzialità tipiche di alcuni simili prodotti italiani e americani. Il motivo? Forse quella voglia di non essere a tutti i costi politically correct (la dolce e sexy Franssou si ubriaca di champagne tutte le sere, ha quel fare snob e sfrontato). Forse la sceneggiatura, quei dialoghi mai banali e sempre ben ritmati, quella trama coinvolgente e mai scontata. Non ci si annoia mai, grazie anche ai tre protagonisti di un menage à trois improbabile. [simone pacini]


Intervista a
Christian Vincent a cura dell'ufficio stampa Bim

Hotel cinque stelle è la storia di una giovane donna che eredita 50.000 euro. Sono tanti soldi, ma niente di eccezionale…
E’ vero. Se avesse ereditato molti più soldi, non si sarebbe chiesta cosa farsene e non ci sarebbe stato nessun film. Avrebbe investito il denaro o si sarebbe comprata una casa. Invece 50.000 euro sono tanti soldi, ma non una somma enorme. E’ una somma un po’ scomoda e perciò interessante.

Andando a Cannes, in questo grande albergo, Franssou si vuole concedere un po’ di lusso?
Il lusso per lei è poter cambiare vita. La sua esistenza l’annoia e la gioia che prova ereditando questa somma svanisce in fretta. Come dice Marc all’inizio del film: “In realtà è seccante avere tanti soldi”. Alla fine Franssou decide di mettersi in aspettativa e di spendere i suoi soldi trasferendosi in un grande albergo. Con Olivier Dazat volevamo regalare a Franssou 50.000 euro ma a una condizione, volevamo che spendesse questo denaro il più velocemente possibile. Volevamo che lo sperperasse. Solo che sperperare il denaro, dilapidare la propria fortuna non è una cosa che si improvvisa. Ci vuole esperienza. Ed è qui che entra in gioco Stéphane. E’ lui che la alleggerirà di tutto questo denaro e che, inaspettatamente, la farà felice.

Questa commedia è costruita un po’ come un thriller, con molta suspense…
Io non parlerei di suspense nel senso tradizionale del termine. Effettivamente abbiamo costruito una sceneggiatura in cui ci si domanda tutto il tempo cosa succederà nella scena successiva. D’altro canto partivamo da un cliché: una ragazza piuttosto ingenua incontra un uomo che è interessato ai suoi soldi. E’ un genere ben preciso che ha le sue regole e le sue convenzioni. Siamo sicuri che Franssou e Stéphane finiranno l’uno nelle braccia dell’altro e, allo stesso tempo, non si parla mai di sentimenti. Per alcune persone la cosa peggiore è la psicologia. Per me sono i sentimenti la cosa peggiore. Quello che mi interessa fra loro due, sono i rapporti di forza. Come l’uno faccia rigare dritto l’altro, come lui manipoli lei, come la prenda in giro, raccontandole delle storie. Ma molto velocemente, nell’arte della manipolazione, l’allievo supera il maestro. Hotel cinque stelle è un film sugli apprendisti. Una fanciulla sprovveduta diventa in poco tempo una piccola canaglia.

Chi è veramente Stéphane? Un truffatore?
Io sono come Stéphane. Non mi piace il termine truffatore. Stéphane non fa del male a nessuno (a parte a Franssou che schiaffeggia e a cui storce il braccio). Organizza delle partite a carte, cerca di vendere delle case non sue a delle persone che non sanno che farsene di tutto il loro denaro, fa ridere ed è gentile con tutti. A suo modo è un gentleman.

Perché Franssou è attratta da Stéphane?
Per mille ragioni. I masochisti vi diranno perché lui le ha storto il braccio. Altri vi diranno perché non si lamenta quasi mai. E per lei è un grande cambiamento perché viveva con un uomo che si lamentava continuamente e che vedeva sempre tutto nero, mentre invece Stéphane è un inguaribile ottimista. A Franssou piace la sua malafede, il suo buonumore, la sua faccia tosta, la sua allegria, la sua capacità di trarsi sempre d’impiccio, ma anche la sua capacità di cacciarsi nei guai.

C’è anche un terzo personaggio, René, interpretato da François Cluzet. Che ruolo ha nella storia?
Perché ci sia una storia d’amore, perché ci sia del desiderio, spesso bisogna essere in tre…Il triangolo. Un altro René, René Girard, ha scritto un libro molto bello sull’argomento “Mensonge romantique et vérité romanesque”. Secondo lui l’uomo è incapace a desiderare da solo, occorre che l’oggetto del suo desiderio sia designato da un terzo. Questo terzo è René. E’ lui che fa di Franssou un oggetto del desiderio, che formula questo desiderio e che propone un modello a Stéphane.
Inoltre, visto che eravamo in un mondo di imbroglioni, c’era bisogno di un pollo da spennare, qualcuno che avesse dei soldi, molti soldi. Più di dieci anni fa, assolutamente per caso, ho cenato con un ex-pilota di Formula uno. Un tipo pieno di soldi. Per me è diventato un modello.

Questo pilota è allo stesso tempo depresso e brillante.
Con Olivier Dazat siamo partiti dall’idea che quest’uomo aveva avuto un brutto incidente stradale e che, per lo shock, aveva perso un certo numero di neuroni. Ha dei problemi di espressione, si impappina. Però allo stesso tempo i piloti di F1 sono dei gran lavoratori, sono delle persone di grande precisione che cercano continuamente di guadagnare millesimi di secondo. Il suo problema è trovare le parole giuste. Solo che gli manca qualche rotella…Molte volte ha delle difficoltà anche a trovare le parole più semplici…

Quando René è davanti a Franssou perde completamente la lucidità…
Sì, è vero! Comincia a dire qualsiasi cosa! Ma alla fine, quando pensa di piacere a Franssou, riprende possesso di tutte le sue facoltà.

Mentre scrivevate la sceneggiatura avevate già in mente gli attori che avrebbero interpretato questi personaggi?
Si pensa sempre agli attori. All’inizio, nel 2001, pensavo a delle altre coppie. Ma la sceneggiatura era diversa, molto lontana dall’essere compiuta, parecchi attori l’avevano rifiutata e io avevo lasciato, per il momento, perdere il progetto. Nel 2003 mi si è presentata l’occasione di girare Les enfants, per il quale avrei voluto José Garcia. Abbiamo molto simpatizzato ma poi lui non ha fatto il film. E’ stato un vero peccato, mi sarebbe molto piaciuto lavorare con lui. Nel giro di due settimane mi sono rimesso a lavorare su Hotel cinque stelle pensando a José. Gli ho fatto leggere la sceneggiatura e lui mi ha detto subito di sì. Riguardo Isabelle, l’avevo trovata magnifica ne I sentimenti di Noémie Lvovsky e, a teatro, nella pièce Un hiver sous la table, per la regia di Zabou Breitman. Con lei avevo girato Beau fixe e ne conservavo un ricordo meraviglioso. L’avevo sempre seguita a teatro, al cinema…E’ magica. Ha una sorta di innocenza, di candore, di naturalezza. Può dire tutto, fare tutto, con leggerezza. E poi ha davvero il senso della commedia!

Vedendola fa pensare a Grace Kelly…Sarebbe stata perfetta in un film di Hitchcock!
E’ vero, ho anche voluto rivedere Caccia al ladro che è ambientato sulla Costa Azzurra…Quarant’anni dopo, il film ha quasi un valore documentario. Si vede la Costa Azzurra com’era prima della speculazione edilizia. Si vede il Carlton senza i palazzi che lo circondano.

E come avete scelto François Cluzet?
François fa parte di quel gruppo di attori con cui volevo lavorare. Fra Sauve-moi e Les enfants sono passati cinque anni durante i quali non ho lavorato. Non riuscivo a ultimare i miei progetti. Ho scritto una sceneggiatura in cui François aveva il ruolo da protagonista, ma il progetto non è mai andato in porto. Mi sono detto che un giorno avremmo lavorato insieme per un altro film. Gli ho fatto leggere la sceneggiatura. Ero convinto che fosse perfetto per quel ruolo. Lo divertiva interpretare la parte di René. E’ magnifico.

Vi siete ispirati a celebri coppie di imbroglioni del cinema?
Oggi lo posso confessare, io sono un vecchio cinefilo…. Ho visto molti film, sia alla Cinématheque che all’Action Lafayette, prima che fosse trasformato in un supermercato. E’ lì che ho scoperto gli attori americani degli anni ‘30, ‘40 e ‘50, lì ho visto tutti i film di Lubitsch.
Da quel momento, in materia di commedia, non è stato fatto niente di meglio. Non sono un nostalgico di quell’epoca. Non penso che si stesse meglio prima, tuttavia rimpiango il posto che occupavano quegli autori. Erano persone brillanti, molto colte. I loro film erano divertenti, intelligenti e malgrado tutto questo gli studios dell’epoca non esitavano ad affidargli delle commedie!!! Inoltre riuscivano a unire tutti i tipi di pubblico, si rivolgevano a tutti, mentre invece adesso i pubblici diversi non si mescolano più.

Si ha l’impressione che la sua regia sia un po’ diversa rispetto ai film precedenti. Girare questa commedia le è piaciuto in modo particolare?
Ho provato un piacere immenso nel girare questo film. Dopo La séparation ho attraversato una specie di crisi durante la quale tutto mi pesava: la scrittura, le riprese. Mi domandavo a che scopo facessi tutto questo. Non mi sentivo a mio agio. Questo ha prodotto Je ne vois pas ce qu’on me trouve, che è un film che amo molto, che è divertente per certi aspetti ma fondamentalmente è deprimente. Cercavo una certa verità, usavo la macchina a spalla, pensavo anche a girare in digitale…

E adesso?
Mi sembra che vada tutto bene. La mattina sono contento di veder arrivare i camion. Non bisogna confondere macchina da presa leggera e leggerezza. La leggerezza è uno stato d’animo, sia che ci siano dieci o cinquanta persone sul set.

Questo è il suo settimo lungometraggio ma la sua prima vera commedia. Perché ha aspettato così tanto?
Ottima domanda…Perché? Forse non pensavo che sarei stato in grado di fare una commedia…e poi perché nella vita non sono divertente. Non ho la battuta pronta. Non mi sento a mio agio in società. Non so raccontare le storie. E, allo stesso tempo, quando vedo i comici, quelli veri, che scrivono delle sceneggiature e passano alla regia, mi dico che non si può lasciar stare! Bisogna fare qualcosa!