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Come è andata?
- Erano in tre contro uno. Era come farsi schiaffeggiare dai
Fratelli Marx pachistani.
Fare
Dallas a Washington. Questa è l'idea che uno sceneggiatore
laido e viscido ripete ossessivamente con voce cantilenante
a Charlie Wilson, un deputato texano dedito alle donne, alla
droga e alla bella vita. Charlie Wilson non si fa mancare
niente e pensa che anche ai suoi amici non debba mai mancare
niente. Concede favori avendo la consapevolezza lungimirante
che prima o poi i favori verranno restituiti. Ma lo fa misurando
ogni sua mossa o è sincero, generoso e di animo nobile?
Charlie e lo sceneggiatore sono immersi in una vasca con idromassaggio
all'ultimo piano del Ceasar's Palace di Las Vegas, in mezzo
a spogliarelliste in cerca di una particina o per semplice
divertimento.
Dallas è la soap opera di maggior successo e siamo
immediatamente calati in un'epoca, anni ottanta reaganiani
contraddistinti da uno sfrenato edonismo, dove le questioni
di politica estera si risolvevano avendo in testa modelli
virili e testosteronici come Rambo e Terminator. L'idea dell'autore
con catenina al collo e il cervello annacquato da litri di
alcool è di trasferire l'ambientazione a Washington,
raccontando intrighi di sesso e potere nel cuore stesso della
più grande democrazia del mondo, invece che da qualche
parte tra vacche e petrolieri arricchiti. Ma Charlie è
attratto da altro. Il suo è lo sguardo distratto e
mobile, si muove in un punto imprecisato al di là dello
schermo. Vede dove gli altri non vedono. Lo sguardo dei presenti
è miope, materiale e si ferma alla prima curva di donna
ostentata con provocazione. Ma quello del protagonista sa
cogliere oltre, scivola in un territorio indefinito che non
è ancora profondo, ma è già vasto e assume
le proporzioni di chi sa percepire l'emergenza prima degli
altri. Per questo è stato eletto e per la prima volta
in vita sua potrà dimostrarlo al mondo intero. Ma il
mondo intero lo saprà mai?
Oggetto di tanto interesse è un tizio dai tratti mediorientali
che dal deserto lancia una voce potente che resiste al frastuono
dei media occidentali e arriva direttamente dall'altra parte
dell'oceano. Gli afghani, dice la voce, sono deboli e rischieranno
di morire se qualcuno non li aiuterà a cacciare l'invasore
russo e comunista. Charlie accoglie la chiamata come se gli
venisse direttamente da un'entità divina, una missione
che non può ignorare. Prende il primo volo di notte,
molla la sgangherata compagnia e si precipita alla Casa Bianca
per erogare fin da subito ben sette milioni di dollari da
destinarsi alle popolo di Kabul. Ben presto il buon Charlie
si rende conto che non bastano, e cosa ancora più grave
che non c'è nessuna organizzazione abbastanza capace
e strutturata per sfruttare al meglio tutti questi soldi.
Gli afghani sono ridotti male e spesso preferiscono comprare
armi micidiali piuttosto che asfaltare le strade, guarire
i propri malati o costruire ospedali e scuole. La guerra fredda
è molto simile alla prima guerra mondiale. Una guerra
invisibile con mille fronti sparsi ovunque nel mondo, guerra
di trincea, che punta a logorare il nemico ma non troppo.
In attesa dell'attacco definitivo che distrugga il nemico
e dissolva l'incubo dell'atomica, ognuno fa quello che può.
Così si spiega il comportamento di una Cia ignava,
troppo spesso colpevole di aver avuto la mano leggera in Nicaragua,
in Vietnam e in altre zone dove non era ufficiale la sua presenza.
Il tempo corre, i campi profughi al confine con il Pakistan
si riempiono di sfollati e di persone disperate e scampate
allo sterminio finché qualcuno non pensa che Charlie
vada sostenuto e incoraggiato, altrimenti si perderà
come tanti prima di lui. La posta in gioco è alta e
riguarda la libertà degli uomini dal totalitarismo
comunista. In suo soccorso Charlie trova una coppia improbabile,
da una parte Joanne Herring, ex reginetta di bellezza, fervente
cattolica e cosa che conta ancora di più, ricca, ricchissima
ereditiera e dall'altra uno scorbutico agente della Cia, inviso
ai piani alti per i suoi metodi bruschi e per niente diplomatici.
Mike Nichols torna alla regia, dopo qualche anno di stasi
creativa, con una commedia di ambientazione politica a dir
poco strepitosa e dagli alti contenuti morali. A partire da
una storia realmente accaduta, di quelle che appartengono
al genere "quando la realtà supera la fantasia",
Nichols e soprattutto lo sceneggiatore Aaron Sorkin disegnano
una rappresentazione delle dinamiche interne tra i vari attori
della scena internazionale che fa impressione per l'accuratezza
dei dettagli e per i toni leggeri con cui riesce a sdrammatizzare
una tensione altrimenti insostenibile. Sorkin era il genio
che aveva partorito 'West Wing', una serie televisiva che
in Italia era passata quasi inosservata, ma che in America
aveva avuto un grande seguito e annoverava tra il cast star
di prima grandezza come Rob Lowe e Martin Sheen. West Wing
descriveva la vita quotidiana nella Casa Bianca, usando un
punto di vista originale, di chi ci lavora tutti i giorni,
lo staff del presidente, e la serie tv seguiva il capo di
stato dalle primarie fino alle elezioni del secondo mandato,
mostrandolo alle prese con enormi dilemmi etici che bene o
male coprivano i principali temi della vita pubblica del paese.
Lo schema quindi è lo stesso, Sorkin mette in pratica
l'esperienza decennale che ha accumulato sulla Casa Bianca,
per dare una sua versione degli anni ottanta, stavolta confrontandosi
direttamente con eventi storicamente accaduti. Una scommessa
vinta e risolta grazie a un talento puro e immaginifico per
la scrittura sostenuta da una regia limpida e da un gruppo
di attori che traspirano una tale umanità con cui è
impossibile non entrare in empatia fin dai primi fotogrammi.
[matteo cafiero]