Se Lost
in Translation raccontava in forma di commedia drammatica l’alienazione
e lo spaesamento di due turisti americani in Giappone, The
Grudge descrive gli stessi attraverso le lenti deformanti e
deformate del genere horror.
Inusuale tentativo di coniugare l’horror d’atmosfera orientale,
fatto di rumori e silenzi, di presenze “invisibili”, di
ombre, di un mondo delle anime contiguo a quello dei corpi, con l’orrore
di matrice anglosassone, fatto invece di case stregate, omicidi seriali,
effetti splatter che colpiscono ed inorridiscono lo spettatore.
Il risultato è altalenante con il barometro che volge a tempesta.
La protagonista Sarah Michelle Gellar (Buffy)
è inadeguata al ruolo per la sua assoluta mancanza di espressività,
così come il resto del cast americano, mentre la sceneggiatura
rivela buchi ed incongruenze difficili da nascondere. Per uno spettatore
che abbia frequentato il genere horror, è facile prevedere
l’evoluzione della trama e svelare le piccole costruzioni di
tensione e paura di cui il film è pregno.
Interessante invece è la regia del giapponese Takashi Shimizu
(già autore dei due film originali da cui questo è tratto,
Ju-On, Ju-On 2)
fatta di immagini geometricamente costruite attraverso un calibrato
gioco di vuoti e pieni, di piani inclinati che tagliano l’inquadratura
come lame di rasoio e di un uso di tonalità chiaroscurali così
contrastanti da vestire oggetti, ambienti, interni di un persistente
senso di inquietudine ed orrore. Prodotto da Sam Raimi, consigliato
ai soli neofiti del genere horror. Astenersi gli altri. [fabio
melandri]