Gorbaciof
id.
Regia
Stefano Incerti
Sceneggiatura
Stefano Incerti, Diego De Silva
Fotografia
Pasquale Mari
Montaggio
Marco Spoletini
Scenografia
Lino Fiorito
Costumi
Ortensia De Francesco
Musica
Teho Teardo
Interpreti
Toni Servillo, Yang Mi, Geppy Geijeses, Gaetano Bruno, Hal Yamanouchi
Produzione
Luciano Martino, Sergio Martino, Edwige Fenech, Massimo Vigliar, Sergio Pelone
Anno
2010
Nazione
Italia
Genere
drammatico
Durata
85'
Distribuzione
Lucky Red
Uscita
15-10-2010
Giudizio
Media

Il Gorbaciof in questione (interpretato da Toni Servillo), lungi dall’essere un illuminato statista russo, è un ragioniere del carcere di Poggioreale con una voglia sulla fronte, da cui il soprannome. La sua esistenza si svolge tra un monotono lavoro allo sportello, una vita solitaria nello squallore dei quartieri popolari di Napoli e la passione per il gioco d’azzardo. Proprio durante le abituali partite a poker, entra in contatto con la figlia di un proprietario di un ristorante cinese (Yang Mi), che sembra muovere in lui una sensibilità inaspettata. Il padre di lei affonderà drammaticamente nei debiti con l’odioso Avvocato (un convincente Geppy Geijeses) minacciando di trascinare con sé anche la figlia e soprattutto la di lei purezza. Gorbaciof metterà a repentaglio la propria stessa esistenza, pur di salvare la ragazza.
Il settimo lavoro di Stefano Incerti, già collaboratore tra l’altro di Mario Martone, presentato fuori concorso all’ultimo Festival di Venezia, nonostante l’ambientazione dettagliata e realistica della metropoli partenopea, guarda più a certo cinema asiatico (qui in Italia conosciuto soprattutto grazie a Kim Ki-Duk e ai momenti più pulp di Kitano) capace di far convivere lo squallore più profondo con momenti di poesia originali e inaspettati. La chiave di svolta di questa storia è data dall’amore platonico e privo di comunicazione verbale tra il protagonista e la giovane cinese. Se così l’attenta regia di Incerti nella prima parte è attenta alle “cose”, come i soldi e le carte da gioco consumati di mano in mano, nella seconda cerca un suo lirismo in lunghe passeggiate notturne e intensi giochi di sguardi.
Il neo piuttosto rimarchevole di tutto questo impianto risiede però nel fatto che l’azione intorno ai debiti e alle vicende losche del protagonista è prevedibile e fiaccata proprio dalla llaison con la ragazza, la cui narrazione raramente trova degli sprazzi di originalità fino a crollare completamente in un finale poetico, sorprendente e spiazzante solo nelle intenzioni.
Tutto ciò cozza purtroppo con una cura dei dettagli, della scenografia e dei personaggi di contorno che avrebbe meritato miglior sorte. Un ultimo cenno lo meritano gli attori: la giovane Yang Mi con delle smorfiette più vicine ad una soap che al cinema e un Servillo accentratore che divora primi piani e convoglia su di sé tutta la storia, accentuando la mimica facciale così come la camminata e la postura, quasi a voler provocare l’ennesimo applauso della critica ormai adorante. Ragion per cui, almeno per questa volta, è meglio soprassedere. [emiliano duroni]