Giulia non esce la sera
id.
Regia
Giuseppe Piccioni
Sceneggiatura
Giuseppe Piccioni,
Federica Pontremoli
Fotografia
Luca Bigazzi
Montaggio
Esmeralda Calabria
Scenografia
Giada Calabria
Costumi
Maria Rita Barbera
Musica
Baustelle
Interpreti
Valerio Mastandrea, Valeria Golino, Sonia Bergamasco, Domiziana Cardinali,
Jacopo Domenicucci, Jacopo Maria Bicocchi, Sara Tosti, Chiara Nicola,
Fabio Camilli,
Sasa Vulicevic, Paolo Sassanelli, Lidia Vitale, Antonia Liskova,
Piera Degli Esposti
Produzione
Rai Cinema, Lùmiere & Co.
Anno
2009
Nazione
Italia
Genere
drammatico
Durata
105'
Distribuzione
01 Distribution
Uscita
27-02-2009
Giudizio
Media

Guido è uno scrittore di successo, con il suo ultimo libro è entrato nella cinquina dei finalisti di un prestigioso premio letterario.
Mentre è alle prese con gli impegni che la candidatura del suo romanzo comporta, inizia a frequentare una piscina e decide di imparare a nuotare, realizzando così un desiderio che coltivava da tempo.
Lì incontra Giulia, una donna molto affascinante, soprattutto quando è nel suo elemento: l’acqua.
Tra Guido e Giulia nasce una relazione che da subito però rivela delle zone d’ombra. Perché Giulia nasconde un segreto, e un passato misterioso.

Note di regia: Giuseppe Piccioni
La principale difficoltà era quella di raccontare una storia al centro della quale ci fosse la figura di uno scrittore. In fase di scrittura e di preparazione del film mi sono documentato riguardo all’ambiente del mondo letterario: ne ero incuriosito, ma sapevo fin dall’inizio di non voler riproporre una trasposizione cinematografica fedele; non mi interessava “riuscire” in una sua ricostruzione sociologica corretta. Il mondo dell’editoria è un ambiente che non conosco direttamente, immaginavo che potesse avere delle analogie con l’ambiente cinematografico, ma non volevo accomunarli magari banalizzandone le differenze. Ho scelto allora di mantenere questa mia estraneità, raccontando questo contesto liberamente, dal punto di vista di chi non vi appartiene. Questa mi è sembrata la scelta giusta e funzionale narrativamente, perché capace di suggerire l’estraneità di Guido, il suo smarrimento nei confronti di “un mondo in cui capita e che vive a suo modo”.
Con Federica Pontremoli, già in fase di sceneggiatura, abbiamo cercato di schivare le insidie legate alla scelta di un personaggio come quello di Guido. Non mi interessava tracciare il suo profilo, seguendo la strada di una caratterizzazione fatta di stereotipi (l’intellettuale con il suo tipico bagaglio di tic e manie): Guido è, al contrario, un personaggio sfuggente, medio in tutte le sue manifestazioni, senza apparenti problemi che lo assillino e lo definiscano; medio nelle ambizioni, innocuo nella sua scrittura, o nei suoi tentativi, anche se in essa traspare un desiderio di vivere, di manifestarsi, di essere catturato da qualche tipo di malia (la danza degli ombrelli, lo spettacolo di lap dance) in modo da fuggire la sua inclinazione alla malinconia. Per sottolineare il suo distacco ho raccontato un personaggio che sembra non essere del tutto nelle cose che fa, nelle situazioni in cui vive: la famiglia, la vita degli altri… Inoltre, negli inevitabili momenti in cui si descrive l’attività di Guido, lo vediamo chino sul computer in uno studio nel suo appartamento, separato da una porta di vetro, che lo distanzia dalla scena della vita familiare.
Per Valerio Mastandrea non era facilissimo affrontare un personaggio del genere, senza appigli o caratterizzazioni eccessive, senza uno stretto legame di causa ed effetto tra carattere e azione, dove nessuno dei due elementi finisce per definirlo o consolidare un’idea che possa renderlo afferrabile, lineare: credo che Valerio sia riuscito a tratteggiare un carattere abbastanza inedito, originale.
Guido vorrebbe non essere ambizioso ma lo è; pubblicamente dichiara di non pensare al successo ma accetta, lamentandosene, di fare tutto quello che gli viene proposto come necessario, dichiara di non credere ai premi ma non al punto di disinteressarsi di ciò che si sta muovendo intorno a lui; si lamenta del suo editore e lo asseconda. Tutto questo senza sottolineature o didascalie; la sua ambiguità non lo rende un personaggio facilmente emblematico, né facilmente giudicabile nel bene e nel male. Guido semplicemente non sceglie, così come probabilmente non ha scelto la vita che conduce, la casa in cui abita, forse nemmeno l’idea di fare quel mestiere: la sua tragedia è quasi invisibile, silenziosa.
Non usa l’incontro con Giulia per trovare una soluzione alla sua crisi creativa, si lascia coinvolgere fino anche a perdere di vista tutto questo: lascia che le cose vadano in una certa direzione, senza intervenire. Questa sua incapacità viene sottolineata nella scena dove insieme al giovane Filippo si mette ad analizzare il testo di una vecchia canzone di Richard Anthony (J’entends siffler le train).
Quando cerca di cambiare le cose non lo vediamo agire (veniamo a sapere che ha scritto una lettera alla figlia di Giulia per favorire il loro incontro), interviene attraverso la scrittura ma rimane a guardare la scena incorniciata nella vetrina di un bar come un semplice spettatore degli eventi.
Nella definizione/non definizione del personaggio di Guido vanno anche altre scelte fondamentali che riguardano strettamente il racconto. Le relazioni tra Guido e Giulia e quella tra Guido e Benedetta, sua moglie, non sono mai raccontate come fenomeno di costume; il conflitto non viene mai dichiarato dai personaggi. Non sappiamo nemmeno se Benedetta è al corrente dell’esistenza di Giulia: nessuno rimprovera, nessuno accusa, nessuno si giustifica.
Tutto questo per dire che l’oggetto del racconto non è il tradimento o i conflitti tipici di una relazione. Benedetta infatti rimprovera a Guido di non essere nel suo mondo, nei suoi romanzi, come dire di non esistere.
Giulia al contrario è definita dal suo passato, dalla sua tragedia personale. Anche in questo caso, attraverso i costumi, il linguaggio, abbiamo provato a seguire una strada non del tutto realistica. Con Valeria Golino abbiamo cercato di raccontare la solitudine del personaggio attraverso il suo sguardo e il tono della voce. Questi elementi, fin dall’inizio danno l’idea di un vuoto incolmabile, che non è nemmeno un dolore, perché il dolore non sarebbe sopportabile. Giulia non gradisce i tentativi di Guido di riaccendere in lei una qualche speranza, perché insieme alla speranza rischierebbe di rinnovare un dolore che per lei, a quel punto della sua vita, sarebbe fatale. È come se l’unica possibilità per sopravvivere sia quella di essere in una condizione di costante amnesia. Giulia non può e non vuole ricordare com’erano la vita, gli affetti, le passioni, l’amore. Il personaggio di Giulia non progredisce, si accende per un momento di una speranza illusoria: l’amore di Guido e con lui una nuova vita accanto a sua figlia. Ma quando tutto si rivela per quello che è, non lotta, non accusa, non recrimina. “Io non ho diritto a niente”. Così questa scelta, quasi musicale nella partitura del personaggio di Giulia, si ravviva improvvisamente con accenti caldi, con trasalimenti: ne udiamo perfino i sospiri, restiamo turbati quando il suo viso si illumina all’arrivo di sua figlia Viola nel bar. Giulia però non ha rimpianti, né accampa scuse, non si giustifica. Ha vissuto. Ha commesso un tragico errore ma si è lasciata travolgere da un sentimento. Soprattutto ha amato.
C’è qualcosa però che la avvicina a Guido. Se Guido Montani è sempre sulla soglia della vita, Giulia, al contrario, l’ha lasciata alle spalle, ma non nell’oblio. Su di lei pesa come un macigno il ricordo di ciò che ha fatto. Entrambi convivono in uno strano territorio, che non è quello di tutti gli altri: è un territorio dove non ci sono aspettative, dove non si cercano soddisfazioni e non si temono delusioni perché il centro della propria vita non è lì, si è disgregato.
Strane corrispondenze Guido e Giulia (chissà perché due nomi che iniziano con la “G”), chissà perché entrambi con una figlia e una famiglia (risolta l’una, fallimentare l’altra, almeno nell’apparenza). Guido è attratto da Giulia perché è una fuga dalla sua malinconia: è la sua ombra, è una realtà molto diversa da quella delle sue piccole storie, bozzetti irrisolti di personaggi che gli somigliano, o donne di pura apparenza, sia che siano capaci di sedurre con la grazia o che lo facciano attraverso l’eros. Donne che però si manifestano, ammaliano. Ecco questa vita in penombra, segreta nel senso di nascosta, è la vita di Guido Montani, scrittore di medio successo e di debole vocazione, trascinato in quel mestiere dalle circostanze così come dalla circostanze trascinato in altre avventure che non lo coinvolgono mai appieno, se si esclude l’unico vero rapporto in cui, senza rendersene conto, ha saputo dare qualcosa, l’unico davvero importante per lui: quello con Costanza, la figlia. Guido che guarda a distanza la sua stessa vita. E poi una piscina, una piscina dove finalmente imparare gesti concreti, stupidi ma vitali, respirare, coordinare i gesti, fare 50 vasche. L’altro polo dell’attrazione, luogo di un’esistenza scandita dalla ripetizione.
Volevo inoltre che emergessero anche altri aspetti dall’incontro tra Giulia e Guido. La tragicità di Giulia nasce dal suo essere stata sconfitta in quanto madre, di aver perso la possibilità di crescere sua figlia. Giulia si aggrappa a Guido nel tentativo disperato di risanare queste sue ferite e di tornare a credere nella possibilità di una vita normale.
Dall’incontro con Giulia, dalla sua disperazione di madre, Guido apprende una maggior consapevolezza nei confronti del suo ruolo di padre. È questa la vera ispirazione che la donna regala a Guido.
Rispetto ai miei film precedenti il rapporto sentimentale che coinvolge i due protagonisti si tinge di sfumature e significati diversi. La storia d’amore tra Giulia e Guido, nel progredire del racconto, travalica le regole dell’attrazione tra uomo e donna: la loro unione si anima pian piano di un sentimento molto vicino all’amicizia, che permette ai due di tendersi vicendevolmente la mano.

Per questa storia avevo bisogno di un’ambientazione metropolitana. Le location esterne sono state girate prevalentemente a Roma e il mio sforzo maggiore è stato quello di rendere la città non troppo riconoscibile. Ho lavorato per asciugare il più possibile gli ambienti, privandoli di tutti quegli elementi tipici della “romanità”.
Ho evitato anche di estetizzare i paesaggi, non volevo che la città stessa si trasformasse in personaggio. Per i raccontini sui personaggi di fantasia inventati da Guido e su altre situazioni non immediatamente riconducibili a una realtà romana e laziale, mi è sembrato che certi scorci di città e certi paesaggi e luoghi della Toscana fossero lo sfondo ideale di alcune scene.

Per quanto riguarda gli interni volevo che i miei personaggi si muovessero in ambienti apparentemente quotidiani e ordinari, ma capaci contemporaneamente di rivelare atmosfere inattese e stra-ordinarie. Questi ambienti dovevano essere in grado di accogliere e nutrire il mondo interiore di Guido, di ospitare le sue incursioni visionarie, amalgamandole però il più possibile con la realtà. Anche in questo caso ho lavorato molto sulla sottrazione degli elementi, sulle sfumature, mi sono concentrato sull’inserimento mirato di alcuni dettagli negli arredi, e, grazie all’aiuto di Luca Bigazzi, su alcune soluzioni di luce.

Per quanto riguarda la piscina, che è l’ambiente narrativamente più presente e significante, non era assolutamente mia intenzione caricarlo di simbolismi, almeno in prima battuta (qualcosa in quella direzione è diventato inevitabile, anche se non del tutto voluto). Ho scelto di raccontare parte della storia in una piscina semplicemente perché, negli ultimi due anni mi è capitato di andarci spesso. La piscina, o meglio il nuoto in piscina, non assomiglia per niente a qualsiasi altro tipo di attività sportiva. Nelle altre si mantiene, in qualche modo, un certo tipo di relazione con il mondo circostante. Se vai a correre al parco ti può capitare di rispondere al telefonino, se giochi a tennis imprechi o polemizzi col tuo avversario. Invece, in piscina il distacco, la sospensione dal mondo circostante, mentre si nuota, è totale. Anche quando la piscina è affollata si è profondamente soli, in un ambiente che non è il nostro, quello abituale della vita di tutti i giorni. C’è poi la ripetizione dei gesti, dello sforzo, del respiro e un’apparente illusione di leggerezza.
La piscina non è un semplice sfondo, è piuttosto un ambiente che ho scelto di raccontare perché capace di accogliere i miei personaggi in “fuga dalla vita”; un luogo in grado di escluderli dal mondo circostante, regalando loro la possibilità di riprendere fiato per un momento dalle ansie della quotidianità e dalle delusioni del passato.
La piscina non offre a Guido e Giulia una semplice via di fuga, ma piuttosto una seconda possibilità, quella di un nuovo coinvolgimento nel mondo, è questo l’aspetto che mi premeva far emergere da questa storia. I due a partire da questo ambiente affrontano insieme un percorso che gli insegnerà a rivolgere uno nuovo sguardo sul mondo.

Riguardo ai personaggi dei racconti, alla loro caratterizzazione, in particolare riguardo alla scelta dei costumi e del trucco, mi sono concesso delle libertà. Mi sono fatto guidare dall’ispirazione, dalla fascinazione personale verso alcuni personaggi cari alla mia memoria letteraria e cinematografica. Per il racconto dell’uomo degli ombrelli non nascondo di aver ripensato ai colori e alle atmosfere di Les Parapluies De Cherbourg (non ho certo la pretesa di aver messo in scena un omaggio “cinefilo” verso il film di Jacques Demy, non era questo il mio intento): mi sono concesso semplicemente di non trattenere un coinvolgimento affettivo, una suggestione viva nella mia mente nei confronti di quel film.

“Ho dedicato molto del mio tempo ai casting e al lavoro con i reparti per la messa a punto dell’identità e della fisicità dei personaggi non protagonisti. Non voglio parlare di film corale a proposito di “Giulia non esce la sera”, non sarebbe appropriato: è vero però che c’è stato un gran lavoro rivolto alla scelta e alla caratterizzazione dei personaggi “secondari”, addirittura di certe figurazioni speciali, come nella scena della “cena di lettura” in cui viene invitato Guido. Sono tutti tasselli fondamentali della storia, la loro presenza è strategica per la piena comprensione e lo sviluppo dell’identità dei due protagonisti.
Nello specifico ho scelto di tornare a lavorare con attori con cui avevo già collaborato precedentemente, come Paolo Sassanelli, un attore che stimo moltissimo e che con generosità ha accettato di essere nel film con un piccolo ma preziosissimo contributo, e poi Fabio Camilli, Sasa Vulicevic…
Mi ha fatto anche piacere dare inizio a nuove collaborazioni: penso ai giovani attori emergenti, Chiara Nicola, Sara Tosti e Jacopo Maria Bicocchi, Lidia Vitale e, ovviamente, al grande contributo apportato al film da Sonia Bergamasco. Sono particolarmente contento per aver potuto lavorare con Antonia Liskova che si è preparata con grande serietà per la scena della lap dance, una delle scene di cui sono maggiormente soddisfatto. Antonia riesce a esprimersi fino al limite massimo della sensualità e della seduzione e nello stesso tempo ci rivela la fragilità e la vita interiore di un personaggio descritto in pochi cenni.
In conclusione non posso che fare un ringraziamento speciale a Piera Degli Esposti per aver accettato di fare questo film. Piera lo impreziosisce ogni volta che appare, col colore della sua voce, con la forza della sua presenza scenica, con la sua vitalità. Piera mi ha anche colpito per il lavoro che svolge nell’assimilazione di un testo, nell’importanza che da alle parole, rispettandole. Il suo modo di mettersi al servizio di un personaggio e di rendere necessari ogni suo respiro, ogni sua parola, ogni suo gesto è unico.
Il film ha battezzato due esordi: quello di Domiziana Cardinali, che recita la parte di Costanza, la figlia di Guido, e di Jacopo Domenicucci nel ruolo di Filippo, il ragazzo della figlia di Guido. Due ragazzi eccezionali, letteralmente scovati per caso dalle mie collaboratrici dopo una lunga ricerca tra gli studenti delle scuole di Roma. Nonostante fossero alla loro prima esperienza recitativa in assoluto, Domiziana e Jacopo hanno retto benissimo il confronto con il set e il lavoro con attori professionisti; per me sono stati una vera sorpresa, tanto che con il passare delle settimane i loro personaggi hanno conquistato uno spazio sempre più importante nella storia.

Valeria Golino ha un’ineliminabile eleganza, una sensualità difficile da appannare: calarla nei panni di una donna in semilibertà, che vive tra il carcere e la piscina, ha richiesto grande attenzione da parte sua. Bastava poco, un vezzo nell’acconciatura, un suo portamento istintivo a far riemergere subito la sua grande presenza scenica. Nello stesso tempo non avevo voglia di mortificarla troppo nelle gabbie del realismo, volevo comunque farne un’eroina romantica, usare il suo fascino. Così Valeria ha cercato uno sguardo, un tono della voce, evidenziando quel distacco da tutto che finisce per attirare la curiosità di Guido. La Golino mi sembra che oggi abbia raggiunto un grado di consapevolezza artistica. Oggi più che mai è una grande risorsa per tutto il nostro cinema. Con Valerio Mastandrea ho avuto la sensazione che il suo percorso negli ultimi anni fosse sempre più complesso, sfaccettato, sempre più padrone e consapevole del suo essere attore. Ho dovuto solo costringerlo in abiti che non amava anche se nello stesso tempo, non volevo imbrigliarlo nelle vesti di un modello stereotipato di scrittore. Mi servivano degli slittamenti, dei momenti di non aderenza ai canoni.
Guido è uno scrittore insolito, non è un intellettuale, non si veste ne parla come tale. In tutto ciò che non fosse piena aderenza al copione, imprevisto, Valerio Mastandrea era particolarmente disponibile. Entrambi non hanno fatto che aggiungere qualcosa. Del lavoro di e con entrambi sono molto soddisfatto.

Il lavoro dei miei collaboratori è stato prezioso: quello di Maria Rita Barbera per i costumi, sempre decisivo in una sfumatura, in un particolare; quello di Giada Calabria, nel rendere astratta l’esistenza concreta di Guido, nel saper mantenere questo difficile equilibrio; quello di Luca Bigazzi con quel suo modo di rendere nobile, importante qualsiasi immagine, qualsiasi inquadratura. Inoltre il fondamentale contributo di Esmeralda Calabria (montatrice) , di cui non avrei potuto fare a meno, che ha saputo aiutarmi a cercare il cuore del film e che lo ha seguito con passione e ostinazione, come fosse il suo. Infine la musica dei Baustelle. Seguivo da tempo la loro avventura artistica e li ho contattati. Erano già un gruppo cult ma non così conosciuti come ora, soprattutto dopo aver vinto il Premio Tenco. Con Francesco Bianconi abbiamo spesso parlato di certe passioni comuni per un certo tipo di musica leggera soprattutto francese come Gainsbourg, Ferré, e tanti altri. Poi, insieme, abbiamo pensato che, tranne che per la canzone dei titoli di coda, cantata appunto da Bianconi e da Valeria Golino, sarebbe stato ancora più interessante se i Baustelle avessero lavorato a una vera e propria colonna sonora. Sono molto soddisfatto del risultato. Sono particolarmente grato a Massimo di Rocco, l’organizzatore, che mi è stato sempre vicino, soprattutto in tutti quei momenti in cui c’erano dei problemi da risolvere. Ringrazio inoltre il cuore “femminile” della troupe, le mie collaboratrici Chiara Polizzi (al suo primo film da primo assistente alla regia), Marta Bertini (al suo primo film in assoluto), Sophie Chiarello (aiuto regista) e Paola Bonelli (segretaria di edizione e depositaria di tutte le mie debolezze e incertezze) e poi Marta e Viola (assistenti debuttanti assolute). Grazie anche a chi si è prestato ad assecondare le mie richieste sul set (in particolare acqua minerale e caffè decaffeinato). Un’ultima parola su Lionello Cerri, compagno di viaggio nei miei ultimi quattro film. A lui va un ringraziamento particolare. Questo film non sarebbe potuto nascere senza di lui. Ringrazio tutti, anche quelli che ho dimenticato di citare, per la capacità di sopportazione nei miei confronti, per la loro pazienza, per l’affetto che mi hanno dimostrato.