Ozon
è disarmante. Nella sua personalità c'è
qualcosa di una grazia ludica, una seduzione infantile, un piacere
nel fare film (ha spesso detto che fare film è come giocare
con le bambole), una facoltà ad incassare con il sorriso
sconfitte commerciali o brutte critiche, una capacità
a non scivolare mai nell'acidità o nella collera, disarmando,
nel vero senso della parola, la critica a sua volta.
Ozon concatena film ad un ritmo sostenuto, con facilità,
distillando un savoir-faire impeccabile che la maggior parte
delle volte funziona a meraviglia con il suo gusto per la perversione
(Sotto la sabbia, 8 Donne e un
mistero, Potiche - La bella statuina), altre
volte meno (Amanti criminali,
Swimming Pool). Giovane
e bella si colloca a metà: è un
film che si guarda senza noia ma anche senza passione, e si
rianima solo grazie a qualche scena più vibrante.
Dalla regia sempre elegante, fin dal titolo, Ozon, afferma la
sua ironia: Giovane e bella era il nome di un vecchio giornalino
per adolescenti di 15 anni, due epiteti che vanno perfettamente
all'eroina del film ed attrice debuttante, la superba Marine
Vacth.
L'occupazione preferita dell'adolescente di Ozon non sono lo
shopping o le chiacchiere con le amiche ma la prostituzione:
primo elemento di “scandalo”. La prima metà
del film si dedica a descrivere le giornate di una liceale che
passa dal 5 al 7.
Capiamo successivamente che la ragazza non si prostituisce per
il danaro (proviene da una famiglia benestante ma nasconde tutti
i suoi guadagni accumulati nell'armadio tra i vestiti), né
per il piacere (non gode, sembra indifferente): l'opacità
delle motivazioni, come per Bella
di giorno di Buñuel, è il secondo
elemento di scandalo.
Ognuno può immaginarsi le ragioni di Giovane
e bella: mettere del sale nell'insipida vita
borghese, differenziarsi segretamente dalle compagne di scuola,
curare una ferita dovuta alla ricomposizione della famiglia,
etc. Ozon non psicanalizza, non giudica, non si lamenta, non
compatisce, non spiega: terzo elemento di scandalo, non fa che
mostrare ed ogni spettatore deve cavarsela da sé.
Ciò fa sì che, al di fuori del mistero del personaggio,
volontariamente mantenuto, il film non sia estremamente appassionante:
la ragazza è talmente introversa da suscitare difficilmente
il coinvolgimento dello spettatore, e la successione delle azioni
è più ripetitiva che coinvolgente.
Per di più Ozon non sa o non desidera filmare il sesso,
fino al giorno in cui un cliente muore fra le braccia della
ragazza ed il segreto della giovane prostituta amante desta
scalpore tra la famiglia e i vicini che ne vengono al corrente;
il film si anima finalmente.
La madre (un'eccellente Géraldine Pailhas) ed il patrigno
(l'ottimo Frédéric Pierrot) assumono le domande
dello spettatore: ma come? E soprattutto, perchè? Gli
psicologi si alternano (il vero psicologo Serge Hefez se la
cava benissimo nel suo vero ruolo) come è giusto che
sia in una famiglia borghese illuminata. Ma non c'è nulla
da fare: Ozon ed il suo personaggio resistono alle analisi,
la ragazza e il suo desiderio di prostituzione conservano la
loro opacità fondamentale.
Capiamo questa scelta di cinema (non versare nel giudizio socio-psicologico,
non fare un film dossier, rispettare l'individualità,
l'alterità e la libertà di un personaggio di fiction...)
il tutto trovandolo frustrante intellettualmente: si ha sempre
voglia di comprendere il personaggio, per amarlo o odiarlo meglio,
per vibrare con o contro di lui.
Questa giovane liceale, non la si ama né la si detesta,
si resta un po' indifferenti davanti al suo destino poiché
lei stessa sembra indifferente a tutto e a tutti. Il carattere
“scandaloso” della sua attività è
disinnescato da una specie di evidenza tautologica: si prostituisce
perchè si prostituisce, punto.
Può darsi che sia più un oggetto teorico che un
personaggio in carne ed ossa, una sorte di specchio catalizzatore
delle emozioni dei personaggi circondanti, come nella superba
ultima scena con Charlotte Rampling. [daniela
ciambelli]
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