Fur…pelliccia…
Il racconto della vita della grande fotografa americana Diane
Arbus, l’artista visionaria più importante del
XX secolo, inizia proprio con le immagini di folti e intrigati
capelli castani, così abbondanti e fitti da sembrare
un pelliccia, nelle cui spire la telecamera si perde.
Il titolo simboleggia e racchiude gli aspetti fondamentali
della vita della Arbus che segnano il manifestarsi e lo svilupparsi
del suo talento artistico: l'ambiente borghese della famiglia
di origine, facoltosi pellicciai, il lavoro del marito fotografo
di moda dal quale impara le basi del mestiere e infine Lionel,
personaggio frutto della fantasia del regista, enigmatico
e affascinante vicino di casa, il cui corpo e’ ricoperto
da una sorta di manto peloso, che diventerà la chiave
di volta della sua vita e della sua carriera di artista.
Il film più che una vera e propria biografia è
“un ritratto immaginario”, un tributo a questa
icona della fotografia moderna che ha scandalizzato la società
dell’epoca, rivoluzionando la prassi allora in auge
del rigore formale e della perfezione tecnica andando a "scoprire"
ciò che non era mai stato fotografato e di cui aveva
paura.
Nani, giganti, travestiti, homeless, malati mentali, ma anche
gente comune colta in atteggiamenti incongrui. Questi i soggetti
dei suoi ritratti, i temi che la renderanno celebre.
La Arbus è morbosamente affascinata da questo mondo
oscuro fatto da fenomeni da baraccone, dai freaks, “gli
strani”, così tanto da abbandonare la vita agiata
che conduce e rompere il suo stesso matrimonio per andare
in giro nei sobborghi poveri e malfamati di New York a fotografarli.
Peccato che in Fur non si veda
nessuna di queste foto, perché la Fondazione che ne
detiene i diritti non ha dato il permesso.
Il regista Shainberg combina realtà e fantasia ricorrendo
a espliciti riferimenti ad “Alice nel paese delle meraviglie”
per descrivere l’esperienza psicologica del personaggio
che da casalinga e moglie modello si trasforma in artista
scandalosa e maledetta, ed a “La bella e la Bestia”
per raccontare la sua ricerca e il suo amore per le “bestie”
che vivono intorno a noi.
Elegante e sottile l'interpretazione della Kidman che riesce
a cogliere la psicologia del personaggio, rendendone tutta
la complessità e l’ambiguità soltanto
con uno sguardo, un gesto senza mai scadere nel volgare, senza
eccessi, anche in scene improbabili come la “tosatura”
di Lionel, l’eccentrico amico affetto da ipertricosi.
Il film parte bene, con una bella fotografia e una colona
sonora coinvolgente, riuscendo a suscitare anche una forte
dose di suspence, quasi in perfetto stile thriller. Un’opera
originale, interessante soltanto però per i primi 40-50
minuti, perché si perde presto in un racconto troppo
lento, lungo e allucinato, indugiando eccessivamente su immagini
oniriche e “mostruose”, tanto che è difficile
continuare a seguirlo senza l’inevitabile sbadiglio.
[vanessa menicucci]