Nel 2000
fu l’incidente aereo del volo 180 per Parigi a dare
inizio alla partita a scacchi tra i sopravvissuti e la Signora
di nero vestita. Nel 2003 il campo di gioco si trasferisce
su un’autostrada ed il tassello che innescava il sanguinolento
dòmino di vite umane era dato da uno spettacolare incidente
automobilistico. Legame tra le due pellicole, l’unica
sopravvissuta del primo capitolo.
Ora James Wong, regista del primo capitolo e produttore del
secondo, torna dietro la macchina da presa e da scrivere,
portandoci in cima ad una infernale montagna russa per farci
precipitare nell’ennesimo incubo senza fine.
Il film ripercorre la medesima struttura dei capitoli precedenti,
con un incidente spettacolare iniziale, un determinato numero
di sopravvissuti legati tra loro da un duplice filo amicale
ed emotivo, una lista di esecuzioni che segue l’ordine
della morte mancata, in questo caso la seduta sul carrello
lasciato vuoto delle montagne russe.
Ma al contrario di Final Destination
2, l’alchimia che aveva sorretto il secondo capitolo
e che gli permise di sopravvivere all’azzeramento del
fattore sorpresa del capostipite, non si ripete in nessuna
forma. Al contrario tutto appare noiosamente sbiadito e frettoloso.
I personaggi sono disegnati con superficialità, la
trama è fortemente prevedibile con agli sceneggiatori
più interessati ad arrivare ai momenti più gore
per risvegliare lo spettatore dalla noia e trasmettere un
minimo di shock emotivo. Shock emotivi che si susseguono tra
esplosioni di teste, amputazioni di corpi e una serie di invenzioni
che suscitano l’irrefrenabile ilarità dello spettatore
- vedi la sequenza della morte in palestra.
Final Destination 3 è
legato al primo capitolo della saga sia per la presenza del
medesimo regista, sia a livello narrativo con una serie di
riferimenti che istruiscono i giovani protagonisti di questo
capitolo su come affrontare la Morte. Come i cani di Pavlov,
Wendy (Mary Elisabeth Winstead) e Kevin (Ryan Merriman) apprendono
i segnali, interpretano gli indizi che la Morte semina come
briciole di pane lungo il cammino della sua vendetta, riuscendo
a salvarsi ripetutamente la vita ma non quella dei loro arroganti
e miscredenti amici. E le morti che si susseguono in questo
capitolo sono più efferate, più violente, più
sanguinolente dei precedenti sebbene preceduti da un’eccessiva
elaborazione delle scene del crimine da parte della Morte,
su tutte quelle del centro di bellezza (la più impressionante
dal punto di vista visivo) e quella del magazzino di articolo
per il bricolage.
Ma le dosi eccessivamente dopanti degli elementi splatter
(termine quanto mai appropriato in questa occasione) non salvano
nel complesso un film che si segnala per dialoghi inverosimili
e dall’esito involontariamente comico e varie amenità
distribuite lungo gli 82 minuti di proiezione.
Una saga che non meritava un capitolo finale (ci auguriamo)
così sbiadito ed a tratti irritante. Peccato.
[fabio
melandri]
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