Dopo
una vita spesa nella ricerca della felicità personale
e del successo professionale che tracce lasciamo dietro
di noi, nel momento della nostra morte? Che ricordo abbandoniamo
nella memoria di chi ci ha conosciuto ed amato? E quel
ricordo è veramente espressione di noi stessi?
E’ proprio così che vogliamo essere ricordati?
Per sopperire e risolvere tutti questi dilemmi, ecco venirci
incontro la Zoe Tech. Un chip della Zoe Tech, impiantato
sin dalla nascita, registra la vita del soggetto. Al momento
della morte, tutte le riprese di quella vita vengono montate
in una |
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“rememory”
e mostrato durante la cerimonia commemorativa? Genialata?
Forse! Poter ricostruire una vita attraverso un’abile
lavoro di montaggio dei momenti migliori di una vita,
tralasciando quindi piccoli e grandi peccati, piccole
e grandi malefatte è una grande comodità
e dal sicuro effetto emozionale. Ricorda il montaggio
dei momenti migliori di ogni partecipante alla sua eliminazione
da ogni imperante reality show. E’ una altro piccolo
passo verso la medializzazione della vita di ognuno di
noi, alla faccia dei miseri 15 minuti di popolarità
di warholiana memoria.
Fantascienza cinematografica? Si, ma non si sa mai...
anche la |
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clonazione era considerata anni addietro fantascienza
cinematografica e poi...
Su questa interessante materia di discussione si muove
un thriller abbastanza convenzionale in cui un montatore
per “rememory” (un Robin Williams in versione
catatonica) scopre all’interno delle immagini della
vita di un alto dirigente della Zoe Tech, un particolare
della propria vita. Tale scoperta lo porterà ad
immergersi in una frenetica indagine dai risolvi drammatici.
Il ritmo lento della narrazione, l’ossessiva ricercatezza
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cura delle immagini se da una parte trasmettono un senso
di disturbo cognitivo nello spettatore, la loro reiterata
proposizione alla lunga rischia la noia, anche perché
i risvolti narrativi ed i colpi di scena sono fortemente
centellinati.
L’idea originale del film nasce dalla volontà
del ventiseienne regista/sceneggiatore Omar Naim di
girare un documentario composto da interviste a membri
della sua famiglia, in modo da ricostruire storie conoscere
particolari che altrimenti sarebbero scomparsi nella
nebbia del tempo. L’idea è stata poi
sviluppata in un film di fiction e strutturata all’interno
dei facili
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