Final Cut
The Final Cut
Regia
Omar Naim
Sceneggiatura
Omar Naim
Fotografia
Tak Fujimoto
Montaggio
Dede Allen, Robert Brakey
Musica
Brian Tyler
Interpreti
Robin Williams, Mira Sorvino, Jim Caviziel, Mimi Kuzyk, Thom Bishops
Anno
2005
Durata
95'
Nazione
USA
Genere
thriller
Distribuzione
Eagle Pictures
Dopo una vita spesa nella ricerca della felicità personale e del successo professionale che tracce lasciamo dietro di noi, nel momento della nostra morte? Che ricordo abbandoniamo nella memoria di chi ci ha conosciuto ed amato? E quel ricordo è veramente espressione di noi stessi? E’ proprio così che vogliamo essere ricordati?
Per sopperire e risolvere tutti questi dilemmi, ecco venirci incontro la Zoe Tech. Un chip della Zoe Tech, impiantato sin dalla nascita, registra la vita del soggetto. Al momento della morte, tutte le riprese di quella vita vengono montate in una
“rememory” e mostrato durante la cerimonia commemorativa? Genialata? Forse! Poter ricostruire una vita attraverso un’abile lavoro di montaggio dei momenti migliori di una vita, tralasciando quindi piccoli e grandi peccati, piccole e grandi malefatte è una grande comodità e dal sicuro effetto emozionale. Ricorda il montaggio dei momenti migliori di ogni partecipante alla sua eliminazione da ogni imperante reality show. E’ una altro piccolo passo verso la medializzazione della vita di ognuno di noi, alla faccia dei miseri 15 minuti di popolarità di warholiana memoria.
Fantascienza cinematografica? Si, ma non si sa mai... anche la
clonazione era considerata anni addietro fantascienza cinematografica e poi...
Su questa interessante materia di discussione si muove un thriller abbastanza convenzionale in cui un montatore per “rememory” (un Robin Williams in versione catatonica) scopre all’interno delle immagini della vita di un alto dirigente della Zoe Tech, un particolare della propria vita. Tale scoperta lo porterà ad immergersi in una frenetica indagine dai risolvi drammatici.
Il ritmo lento della narrazione, l’ossessiva ricercatezza e
cura delle immagini se da una parte trasmettono un senso di disturbo cognitivo nello spettatore, la loro reiterata proposizione alla lunga rischia la noia, anche perché i risvolti narrativi ed i colpi di scena sono fortemente centellinati.
L’idea originale del film nasce dalla volontà del ventiseienne regista/sceneggiatore Omar Naim di girare un documentario composto da interviste a membri della sua famiglia, in modo da ricostruire storie conoscere particolari che altrimenti sarebbero scomparsi nella nebbia del tempo. L’idea è stata poi
sviluppata in un film di fiction e strutturata all’interno dei facili

canoni precostituiti del genere thriller. Un thriller atipico che viaggia sui confini di un realismo fantascientifico dai toni sommessi e dalla fotografia livida di Tak Fujimoto (Il silenzio degli innocenti, Philadelphia, Il tocco del male). [fabio melandri]