Il timido
Huo Yuanjia è il figlio di un grande lottatore che
però non vuole che egli segua il suo esempio. Così
Huo decide di imparare da solo come combattere e vincere.
Anni di allenamento gli consentono di stracciare avversario
dopo avversario nella sua regione di origine, Tianjin. Ma
il suo orgoglio cresce di pari passo con la sua fama di esperto
di arti marziali. Quando un combattimento imprudente conduce
alla morte di un maestro i membri della famiglia di Huo vengono
uccisi per vendetta. In preda al dolore, tormentato dalla
vergogna e sotto shock Huo inizia a vagare per il paese. Quando
si trova ad un passo dalla morte viene salvato dalle donne
di un tranquillo villaggio che lo trattano con dolcezza e
generosità. Questo lo aiuta a guarire e riacquistare
il suo equilibrio per un periodo di molti anni. Huo comprende
che il futuro delle arti marziali risiede nella correttezza
e nella lealtà e non nella violenza. Decide allora
di tornare nella società per applicare questi principi.
Una volta tornato a Tianjin, Huo affronta il suo passato e
riabilita il suo nome. Grazie al Mizong (pugno mancante),
metodo di combattimento elegante e acrobatico, Huo rinnova
il suo successo e crea l’innovativa Federazione sportiva
Jingwu. Prendendo atto della situazione, i membri sleali della
Camera di Commercio Estera organizzano un torneo che mette
Huo contro quattro lottatori, ognuno dei quali rappresenta
i più grandi poteri stranieri in Cina. Huo accetta
la sfida e combatte rispettivamente, contro: un pugile inglese,
uno spadaccino spagnolo, un soldato belga e un giapponese
che pratica le arti marziali. La Cina non ha mai dimenticato,
e mai lo farà, ciò che avvenne quel giorno del
1910.
Agli occidentali la figura di Huo potrà non dire un
granché, ma in Cina è un vero eroe nazionale,
simbolo della resistenza e tenacia cinese contro l’invasione
straniera di inizio secolo, periodo definito dagli storici
cinesi “l’era dei trattati ingiusti”, che
caratterizzò un’epoca di degrado senza precedenti
per il paese e il suo popolo. La rinascita passò per
l’antica arte dello Wushu, che contrariamente a quanto
non si possa pensare non significa arte della lotta ma l’esatto
opposto: i caratteri cinesi che compongono il termine “Wushu”
sono “zhi” (che significa “non fare”
o “stop”) e “ge” (che significa “combattimento”
o “guerra”). Questi caratteri insieme si traducono
con “non lottare”. Pertanto la parola Wushu rivela
il vero significato delle arti marziali e cioè l’arte
di non combattere.
Attraverso una narrazione che non riesce ad evitare i cliché
del genere biografico, Fearless annoia più che emozionare,
più attenta al valore nazionalistico e propagandistico
dell’opera che non alla sua efficacia drammaturgia.
Appesantita da una regia confusa del figlio prodigo Ronny
Yu (una vita a Hollywood con La sposa
di Chucky, Codice 51,
Freddy Vs. Jason), il film si
trascina stancamente tra effetti speciali artigianali nel
senso negativo del termine ed incontri coreografati in maniera
stanca e ripetitiva in cui l’impegno di Jet Li, nella
vita vero lottatore di Wushu, non riesce a salvare con il
mestiere ne la baracca ne i burattini. Trascurabile. [fabio
melandri]
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