80 milioni
di spettatori, 65.000 repliche in 18 paesi del mondo, 3 miliardi e
200 milioni di incassi, vincitore tra gli altri di 3 Olivier Award,
7 Tony Award, 7 Drama Desk Award, 3 Outer Critic’s Circe Award,
40 milioni di copie vendute della colonna sonora.
Da questi numeri parte il lungo viaggio della prima versione cinematografica
del musical scritto da Sir Andrew Lloyd Webber, ispirato al romanzo
di Leroux pubblicato nel 1911 che narra dell’impossibile storia
d’amore e di passione tra Christine, cantante dell’Opera
di Parigi ed il suo Angelo della Musica, ovvero lo sfigurato Fantasma
che abita i meandri più profondi dello stesso.
Un viaggio inaugurato nel 2002, dopo diversi rinvii, ed approdato
oggi nelle sale cinematografiche di tutto il mondo grazie ad una co-produzione
indipendente (in Italia dal 17 dicembre, distribuito dalla 01 Distribution).
Joel Schumacher, regista dal discontinuo talento, capace di alternarsi
tra dimenticabili block-buster come Batman &
Robin, 8mm – Delitto a luci rosse,
Il cliente, ed opere più intimistiche
dallo spirito indipendente St. Elmo’s
Fire, Ragazzi perduti, Tigerland,
mette in scena un Fantasma dell’Opera che rimane assai fedele
alla versione teatrale, sceneggiato dallo stesso regista insieme a
Lloyd Webber, peccando però di superbia in alcuni momenti e
di timidezza in altri. La scelta di affidarsi ad un cast di giovani
ed inesperte “promesse”, per esaltare il lato sensuale
della vicenda, finisce per rappresentare la pecca più evidente
del film. I tre attori protagonisti, Gerald Butler (Il Fantasma),
Emmy Rossum (Christine), Patrick Wilson (Raoul) mancano di un minimo
magnetismo interpretativo, sono espressivamente freddi, pallidi interpreti,
ombre inconsistenti all’interno di una storia che invece dovrebbe
trasmettere fuoco, impeto, passione, orrore, sangue, vita da ogni
dove.
Lo stesso apparato iconografico del film, pare un copia scolorita
di Mouline Rouge, con idee scenografiche,
costumi e trovate registiche “rubate” al capolavoro di
Baz Lurhmann.
Le uniche emozioni che il film suscita provengono dalla potenza, dalla
maestosità delle musiche composte 18 anni fa da Lloyd Webber
e sparate altissime nelle orecchie dello spettatore. Le melodie di
archi e violini, le partiture da organo, i rimandi continui a sonorità
operistiche ottocentesche, avrebbero richiesto una messinscena più
potente, meno approssimativa. Manca un qualsiasi spunto inventivo,
con duetti musicalmente incredibili accompagnati da campi e controcampi
anonimi, noiosi, incerti a tratti imbarazzanti.
Purtroppo un’opera del genere, più vicino all’opera
lirica che non al musical contemporaneo, avrebbe richiesto un regista
di maggior talento visivo e orecchio musicale. Viene da pensare a
che occasione sprecata non aver affidato tale materia a registi quali
lo stesso Lurhmann, o ad uno tra Tim Burton, Alfonso Cuaron (capace
di rivitalizzare una serie noiosa ed infantile quale Harry Potter)
o addirittura a Franco Zeffirelli, che l’opera lirica la frequenta
dentro e fuori lo schermo cinematografico con ottimi risultati (vedi
la messinscena de Il Trovatore di Giuseppe Verdi).
Sta di fatto che l’elemento che a priori suscitava maggior perplessità
(la traduzione in italiano di musiche immortali), alla fine risulta
essere uno dei pochi fiori all’occhiello di questo Fantasma
dell’Opera targato 2004. Passati i primi minuti di trauma
e disorientamento (soprattutto per chi conosce l’opera originale
in inglese), si iniziano ad apprezzare la bontà delle voci
italiane scelte dallo stesso Webber, ovvero Luca Velletri (Il Fantasma),
Renata Fusco (Christine) e Pietro Pignatelli (Raoul) dotati di voci
potenti, di una buona estensione e di un calore interpretativo al
servizio di canzoni tradotte da Masolino D’Amico. [fabio
melandri]