Metamorfosi.
Questo il concetto/manifesto sul quale è imperniato
il debutto cinematografico di Wayne Beach, autore-della-storia/sceneggiatore/regista
e precedentemente autore dello script di due non disprezzabili
thriller come L’arte della guerra
ed Omicidio alla Casa Bianca
con Wesley Snipes.
Metamorfosi di una città che passa tra la demolizione
di vecchie aree sub-urbane ad edificazioni di nuovi quartieri
residenziali attraverso soliti giochi di potere tra politici
rampanti e gangster senza scrupoli. Metamorfosi di una donna,
che come un cristallo scompone nei suoi componenti la luce
bianche per apparire come riflesso di un solo di questi componenti.
La donna in questione trattansi dell’assistente del
procuratore distrettuale in carriera e pronto a candidarsi
alla poltrona di Sindaco, Ray Liotta. Lei è la debuttante
sul grande schermo Jolene Blalock.
La metamorfosi della città che passa attraverso la
metamorfosi della donna, si realizzerà attraverso una
scia di sangue che culminerà in un misterioso appuntamento
alle 5 della mattina. Ispirandosi platealmente ad I
soliti sospetti di cui sembra una involontaria parodia
nel cercare di superarlo elevando a numeri esponenziali incontrollabili
situazioni, capovolgimenti di fronti e finali, Doppia ipotesi
per un delitto giunge sui nostri schermi, ma non solo, a ben
quattro anni di distanza dalle sue effettive riprese. Particolare
questo che fa sembrare il film un giovane-vecchio. Per la
sua messa in scena timida ed impacciata, per la presenza di
scene di raccordo ed esemplificazione tanto inutili quanto
ripetitive, per dialoghi ai limiti della decenza logica e
per un cast che da la sensazione di credere a poco nell’operazione,
in primis un invecchiato ed imbolsito Ray Liotta, anche produttore
esecutivo, calato negli scomodi panni di un apparentemente
spietato procuratore distrettuale che però finisce
per essere letteralmente preso in giro da qualsiasi comparsa
gli capiti a tiro.
Un film incentrato sul gioco meccanico, furbetto e confusionario
dell’io-non-so/che-tu-non-sai/che-io-non-so in cui neanche
il più acuto spettatore riesce a raccapezzarsi, travolto
dai tre, quattro, forse cinque – confesso di aver perduto
il conto – pre-finali, finali e contro-finali che si
susseguono in maniera incalzante negli ultimi 15 minuti di
proiezione. Un gioco al massacro di logica, coerenza e verosimiglianza
di cui rimane vittima lo stesso autore-della-storia/sceneggiatore/regista
Wayne Beach che altresì aveva dichiarato: “Morivo
dalla voglia di scrivere un film che io stesso avrei voluto
vedere. Moltissimi film hanno la stessa identica formula e
sono prevedibili. Io amo i misteri che sono elaborati e funzionano
in un certo numero di livelli.” Quando il troppo, stroppia…
[fabio melandri]