"Le storie sono
come la polvere..."
Torino vive di giorno. Con la luce lavora, si muove. Una città
attiva a testa bassa che ha poco tempo di guardarsi dentro. Poi, dopo
mezzanotte, quando il buio affonda i pensieri, ecco la magia.
Ultimo (capo)lavoro di Davide Ferrario (autoprodotto e distribuito
in Europa e Usa), che rende omaggio al cinema e alle sue meraviglie,
al passato, alle storie che nessuno ricorda ma delle quali siamo tutti
figli. Primo tra tutti Buster Keaton (dedica sui titoli di coda).
Il film è una semplice, piacevole e surreale favola metropolitana.
Martino è il custode del museo del cinema di Torino, sito dentro
la Mole Antonelliana. La sera si siede sulla poltrona della sala e
dopo aver scelto una vecchia pellicola dall'archivio, la guarda con
gli occhi di un bambino srotolando al tempo stesso il film della propria
vita. L'intreccio si articolerà poi con Amanda (la "brutta"
per la quale potremmo tutti perdere la testa) e "l'angelo",
un ladro molto particolare di auto col sogno della Jaguar. Pian piano
tutto scorre e la dolcezza ironica della pellicola ci assorbe per
non restituirci più indietro. La voce narrante di Silvio Orlando,
il grillo parlante del film, ci trasporta in una dimensione temporale
asimmetrica, quasi come le novelle di un tempo, tramandate da nonno
in nipote, per sentito dire, per generazioni. I testi e la sceneggiatura
poco contano qua, sono "fittizi", ombre proiettate su altri
sfondi. Ferrario parla con le immagini. Sono loro le vere protagoniste.
Il passato e il presente s'intrecciano.
Dal 1895 ad oggi il cinema resiste e ci fa sognare. Per poi dimenticare
tutto nuovamente e riniziare. Come l'amore. Tutti si fanno del male
ma poi tutti si perdono nuovamente. Ferrario arriva qua. Tra il cuore
e il cervello. Nella gola. Sensuale e ingenuo. Consapevole e ironico.
Le riprese sghembe e storte, i montaggi frammentati con i fotogrammi
interrotti a lui tanto cari. E' il Ferrario di sempre ma anche il
Ferrario più "maturo", se cosi' si puo' dire. Dosa
bene immagini, testo e musiche. Riesce a tenere alto l'interesse fino
in fondo senza essere pesante o comunque assolutista (come nel purtroppo
sottovalutato Anime fiammeggianti). Miscela le musiche su
una Torino splendida tra luci ed ombre. La pellicola è un funambolo
che cammina silenzioso sulla corda a 100 metri da terra. Anche i silenzi
e le cose non dette creano curiosità e fremito in chi sta guardando.
Il film è girato tutto in digitale ad alta risoluzione. E si
vede. Ma i colori non mollano. Si lasciano gustare caldi senza la
freddezza del computer. Un film intimo, umile ma originale.
Jules e Jim è uno spettro che aleggia per tutto il
film e la dedica indiretta a Francois Truffaut nella sceneggiatura
e nella trama, non è casuale. Siamo figli del passato. Tutto
ci ha preceduto.
Scritto, prodotto e diretto da Davide Ferrario, un elogio al tempo
odierno, dove tutti copiano da tutti e si realizzano libri-filmici
in continuazione. Se siete amanti del Blockbuster style evitatelo
come la peste. Se amate il cinema con la C maiuscola occhio a non
scottarvi. E ricordate, “…i film finiscono. Il cinema
no”. [alessandro antonelli]