“E’ come bere un altro bicchiere quando sei già
ubriaca”. Con questa frase Sheba Hart (Cate Blanchett),
professoressa d’arte in un liceo londinese spiega come
abbia potuto accettare le avance di un suo studente e di come
abbia anche ceduto. A pendere dalle sue labbra, in senso metaforico
e non solo, c’è l’anziana e solitaria collega
Barbara Covett (Judi Dench). Tra le due nascerà un’amicizia
basata sulle menzogne e sui segreti.
Il film candidato a quattro premi Oscar, tra cui quello all’ottima
Dench come migliore attrice, è un thriller psicologico
basato sul racconto in prima persona dell’inaridita
Barbara che conosce e pensa di aver trovato un’amica
in Sheba. La prima vive in completa solitudine, in un appartamento
sito in sottoscala cupo e claustrofobico distratta solo dalla
presenza dell’amato gatto e dal diario che compila diligentemente
ogni sera. Ed è da questi racconti di vita, con descrizioni
caustiche e insieme divertenti che si dipana la scandalosa
vicenda: un’anziana signora si invaghisce di una giovane
professoressa che a sua volta perde la testa per uno studente.
Sheba non ha attenuanti sociali: ha origini borghesi, vive
con due figli e il marito, suo ex professore. Dopo dieci anni
di completa dedizione al più piccolo dei due pargoli,
affetto da sindrome di down, decide di fare l’insegnante.
E di trasgredire. Barbara invece ha un vissuto fatto di assenza
di contatto umano. Riferendosi all’amica traditrice
sottolineerà che “le persone come Sheba pensano
di sapere cosa significhi essere soli. Ma della monotonia,
della solitudine di cui non si vede la fine, di quello non
sanno nulla”.
Tratto dal romanzo La donna dello scandalo
di Zoe Heller, il film è completamente dominato dalla
recitazione delle due attrici. La regia di Richard Eyre non
aggiunge nulla alla vicenda, già di per sé molto
intensa. Perfetta la musica di Philip Glass. [valentina
venturi]
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