Irene è
bella, ricca, intelligente. È uno squalo bellissimo e implacabile,
che ha appena concluso un affare d'oro, rilevando l'azienda di alcuni
amici di famiglia che navigava in cattive acque (i due, marito e moglie,
si sono uccisi subito dopo, but business is business). È anche
riuscita, da pochi giorni, a ottenere l'autorizzazione per ristrutturare
un vecchio palazzo appartenente alla sua famiglia, dove farà
costruire tanti redditizi miniappartamenti. Ma la riapertura di quelle
vecchie stanze, nelle quali è vissuta, quasi segregata, la
madre "inferma di mente", riaprirà anche porte sul
passato (e sul presente). Una stanza in particolare, la camera della
madre, è il fulcro della storia, stanza del cuore dalle pareti
completamente coperte di scritti apparentemente indecifrabili. Tali
perché privi di senso o per l'incapacità di chi legge
a riconoscerlo?
Film fatto per mostrare, generare dubbi e riflessioni; non per insegnare,
o giudicare. Chi vedesse in Ozpetek un moralista, un maître
a penser, traviserebbe il suo cinema, e lo potrebbe giudicare eccessivo.
Questo rischio si corre soprattutto verso la fine, dove il regista
effettivamente osa un po' e ci porta in una dimensione di misticismo
estremo (di cui è pervaso un po' tutto il film, basti pensare
alla citazione che fa della Pietà, quando Irene soccorre Gianluca).
Film dedicato "agli sgusciati", nella doppia accezione di
"privi di guscio", di difese da un mondo ostile e spietato,
e di "sgusciati via", scappati, esiliati, dimenticati. Un
film che commuove, che può generare reazioni diverse e contrastanti,
ma fatto sicuramente col cuore, anzi forse col "cuore sacro".
[matteo lenzi]
Ogni persona
possiede due cuori, uno visibile, in luce, l'altro nascosto nell'ombra.
Irene Ravelli (Barbora Bobulova) è una top manager dal cuore
algido. Irene ha tutto, villa con piscina, BMW con autista, è
stata eletta Manager dell'Anno: ma niente di ciò che possiede
la rende "umana". Si intuisce dalla freddezza con cui apprende
la notizia di due amici, suicidati dopo averle venduto quel che resta
della loro azienda. Si comprende quando, spinta dalla zia Eleonora
(Lisa Gastoni), vorrebbe vendere la bella casa materna per ricavarne
tanti piccoli appartamenti.
L'incontro
con Benny, una ragazzina allo stesso tempo ladra e benefattrice, le
cambierà letteralmente la vita. Scoprirà l'insospettabile
povertà nel cuore di Roma e quanta umanità si celi nella
disgrazia. Alla sua quinta regia, Ferzan Ozpetek abbandona i temi
a lui cari, le relazioni sentimentali in tutti i suoi intrecci, per
spingersi concettualmente molto più avanti. Cuore
sacro tratta tematiche importanti quali memoria familiare,
povertà, religione. Evoca fantasmi celati nella nostra mente,
concetti insiti in noi ma che difficilmente riescono ad esplodere
con la forza dirompente con cui vengono fuori da Irene. Solo attraverso
questo violento susseguirsi di eventi, Irene riesce a tirare fuori
il suo cuore in ombra e a fare in modo che diventi un cuore sacro.
Deciderà di dedicarsi anima e corpo ai bisognosi, arrivando
a donare i suoi vestiti in una vertiginosa scena girata a Roma Tiburtina.
A partire dal titolo, Ozpetek vuol farci capire che stiamo entrando
nel suo mondo "religioso". Il sacro cuore è Cristo,
traslato nel suo messaggio. Il più grande portatore di quel
messaggio di amore per ogni creatura umana è San Francesco,
e Irene è chiaramente un San Francesco in chiave moderna. Non
bastasse questa serie di indizi, Ozpetek riprende una classica scena
di Pietà, con la Bobulova che sorregge tra le sue braccia un
barbone in cristologica posa.
Un film che potrebbe smuovere le coscienze ma che purtroppo mette
nel calderone decisamente troppi argomenti con l'ovvia conseguenza
di non soddisfarne alcuno. Le scelte di sceneggiatura e di regia non
riescono ad essere coerenti con la storia narrata se non in rare occasioni
in cui la bravura delle attrici, una Barbora Bobulova davvero eccellente
e due intense scene con Erika Blanc, viene fuori a tappare le troppe
falle di questo insolito film. [maurizio
milo]