Contraband
id.

Anno 2012

Nazione USA

Genere thriller

Durata 110'

Uscita 25/07/2012

distribuzione
Universal Pictures

Regia
Baltasar Kormakur
Sceneggiatura
Aaron Guzinowski, Arnaldur Indridason, Oskar Jonasson
Fotografia
Barry Ackroyd
Montaggio
Elisabet Ronalds
Scenografia
Tony Fanning
Costumi
Jenny Eagan
Musica
Clinton Shorter
Produzione
Working Title, Blueeyes, Leverage, Closest to the hole
Interpreti
Mark Wahlberg,
Kate Beckinsale,
Ben Foster,
Giovanni Ribisi

 

A New Orleans, un ex asso del contrabbando (Mak Wahlberg), divenuto un bravo padre di famiglia e installatore di antifurti domestici, è obbligato dagli eventi a tornare a vestire i rischiosi panni di un tempo, per salvare il giovane cognato, ricattato e minacciato da un folle criminale (Giovanni Ribisi). Si imbarcherà perciò per Panama, per trasportare banconote contraffatte e saldare così il debito, lottando contro il tempo, le minacce e i voltafaccia di chi è rimasto sulla terraferma.

L'ennesima storia d'azione a stelle e strisce tutta muscoli e azione, meccanica ripetizione di un ciclo che non sa e non vuole dare fine a se stesso? No, per trovare la giusta ispirazione i produttori di questo film sono dovuti andare a pescare un blockbuster del cinema islandese, piazzare il protagonista dell'originale dietro la macchina da presa e sostituire Reykjavík e Rotterdam con la Louisiana e la repubblica di Panama. Se questi elementi sono sufficienti ad esprimere la mancanza di ossigeno nel cinema di genere attuale, dall'altra la riuscita finale prova che con un buon ritmo, interpreti credibili e una storia passabile (qualcuno costretto a fare qualcosa di non troppo impossibile) possono rendere due ore di action movie un'attività sempre gradevole.

I punti a favore di quest'impresa sono i personaggi di contorno (Giovanni Ribisi è un pazzoide riuscito, J.K. Simmons è un capitano di nave infame e credibile al punto giusto), scene spettacolari riprese in diretta e on location (d'altronde gli incassi dei “Fast & Furious” dimostrano che può valere la pena fare qualche chilometro in più per girare), ritmo scoppiettante (anche durante la sequenza di Panama gli sceneggiatori hanno fatto un bel lavoro nel tenere alta la tensione con le telefonate minatorie dagli Stati Uniti) e soprattutto una fotografia capace di rendere vere e sporche come poche altre volte nei film d'azione le città in questione e i loro porti (ma il realismo di Barry Ackroyd in fondo ha già incantato in The Hurt Locker, guadagnandosi una nomination all'Oscar, e soprattutto in tanta filmografia di Ken Loach).

A freddare eventuali entusiasmi ci pensano alcuni escamotage narrativi prevedibili e abusati e la solita, dannosa e fastidiosa tendenza ad arricchire i finali con situazioni al limite del sovrannaturale (se morire non è mai stato troppo facile alla fine di un film così, per quale folle congiunzione astrale dovremmo credere che Jackson Pollock avrebbe scarabocchiato la biancheria di qualche albergo panamense invece di una tela?). La delusione più grande viene però dai due protagonisti, in particolare Mark Wahlberg, che veste qui anche i panni di produttore; viene da pensare che troppa familiarità con pellicole piene di inseguimenti, ricatti e scazzottate possa generare anche in attori bravi come lui una specie di “sindrome di Seagal” (Steven), capace di immobilizzare gran parte dei muscoli facciali, lasciando al povero interprete una sola espressione, sia che si trovi chiuso in una stanza con dieci spogliarelliste, sia che stiano minacciando di gettare il suo figlioletto dall'ultimo piano di un grattacielo. Per il futuro è consigliabile prendere in considerazione scenari più tranquilli.
[emiliano duroni]