|
Anno
2012
Nazione
USA
Genere
thriller
Durata
97'
Uscita
18/10/2012
distribuzione
Eagle PIctures |
Regia |
Andrew
Dominik |
Sceneggiatura |
Andrew
Dominik |
Fotografia |
Greig
Fraser |
Montaggio |
Brian
A. Kates |
Scenografia |
Patricia
Norris |
Costumi |
Patricia
Norris |
Produzione |
Weinstein
Company, Inferno, Pan B Entertainment |
Interpreti |
Bard
Pitt,
James Gandolfini,
Ray Liotta,
Richard Jenkins,
Ben Mendhelson, Vincent Curatola |
|
Meno Pulp
di un Tarantino e meno Pop di Guy Ritchie, sebbene ad entrambe
le cinematografie di questi due autori Cogan
di Andrew Dominik (L'assassino
di Jesse James per mano del codardo Robert Ford)
si ispiri.
Tratto dall'omonimo romanzo di George V. Higgins, procuratore
distrettuale per venti anni a Boston, il film prende un microcosmo,
la storia di una rapina ad una partita a carte e la relativa
caccia da parte di un killer professionista a mandanti ed
esecutori (non si ruba alla mafia!), per raccontare un macrocosmo
dominato dalla crisi economica attuale dominato da una mancanza
di regolamentazione. “Se Kubrick – racconta il
regista – ci ha fatto ridere delle nostre paure con
Il dottor Stranamore, ho pensato che forse avrei potuto trovare
un modo per far ridere della crisi economica che ci ha portato
sull'orlo del disastro. I film sulla criminalità sono
fondamentali per spiegare il funzionamento della teoria capitalista
nella sua forma base.”
Ed elementare è la trama condita da personaggi e dialoghi
che rimarranno nella memoria, come quello (che non sveleremo)
a chiusura del film.
Un film popolato da persona in continua ricerca di soldi,
infelici che detestano il loro lavoro ed i loro capi, incompetenti
alle prese con alcool, droga e donne, di ammazzamenti che
fanno rumore e pestaggi ripresi al rallenty come mai si erano
visti prima, se non in qualche film comicamente demenziale.
Nel ruolo del killer filosofo/capitalista un Brad Pitt che
nell'etica del suo lavoro di assassino ricorda il Tom Cruise
di Collateral, a cui fanno da spalla James Gandolfini ed un
Ray Liotta di cui non invidiamo il destino.
Come detto prendete un film di Tarantino, miscelatelo con
i primi film di Ritchie e poi tirate forte il freno a mano.
Il risultato è un film quasi filosofico per i tempi
drammaturgici, molto patinato dal punto di vista estetico
con punti di vista inusuali e stranianti conditi da un abuso
del rallenty, che si riversa anche nei dialoghi, a volte irritanti
(vedi l'incidente d'auto che sembra un documentario sulla
sicurezza stradale).
Ma se si accetta tutto questo, Cogan
è un film ipnotico che seduce, conquista ed ammalia
come pochi, trasudando emozioni non immediate ma di riflesso.
E come i buoni vini, invecchiando (nella memoria dello spettatore)
migliora. [fabio
melandri]
|