Se guardi
la tv, muori! Se fai sesso muori! Se vai in macchina ed investi
accidentalmente uno sconosciuto, questo torna per vendicarsi!
Se prendi una nave, stai certo che affonderà! L’aereo?
Volo diretto per l’oltretomba a causa di attacco terroristico
o della Signora Morte in persona! E neanche il treno è
poi così sicuro…vero Bruce Willis? Se vai in
campeggio al lago non avrai occasione di far vedere le foto
al tuo ritorno perché ci lascerai le penne! Al luna
park? Non ne parliamo! Il mare? Non è una buona idea
con tutti gli squali che girano! Se poi ti capitasse di rispondere
al telefono… Insomma meglio, molto meglio chiudersi
in casa sotto le coperte e non uscire dal letto… a pensarci
bene neanche li sei al sicuro perché i tuoi sogni,
anzi incubi possono porre fine alla tua esistenza.
Nel 1978 uscì nella sale cinematografiche un film intitolato
Quando chiama uno sconosciuto
di Fred Walton in cui una babysitter veniva minacciata telefonicamente
da uno sconosciuto. Oggi in una Hollywood in crisi di idee
e colpita da sindrome da remake imperante, ne esce il suo
rifacimento, Chiamata da uno sconosciuto
per la regia di Simon West, regista muscolare di blockbuster
tutto esplosioni ed effetti speciali come Con
Air e Tom Raider: Lara Croft.
In una casa isolata in cima ad una collina, una studentessa
si appresta a trascorrere una tranquilla serata come babysitter
per i figli dei Signori Mandrakis. I genitori sono usciti
ed i bambini dormono tranquilli nella loro cameretta. Chiuse
le porte, installato l’allarme, la giovane si appresta
a passare una noiosa serata davanti alla tv quando una serie
di misteriose telefonate la fanno precipitare in un incubo
senza fine.
Il telefono è stato da sempre un ottimo strumento per
creare suspense sia come meccanismo narrativo (Il
delitto perfetto di Alfred Hitchcock) che come mezzo
in se stesso. La stessa minaccia telefonica è strumento
per generare tensione come insegnava nel lontano 1964 Mario
Bava con il suo I tre volti della paura
e ripreso da Wes Craven nell'incipit capolavoro di
Scream. 20 minuti di puro cinema,
una lezione di regia da studiare nelle scuole di cinema.
Ma torniamo al nostro remake. L’esilità della
trama, e gli spazi dietetici claustrofobici, avrebbero richiesto
una sceneggiatura con meno incongruenze e dialoghi più
intelligenti, oltre ad una regia capace di esaltare l’interessante
scenografia degli interni della casa; una scatola di vetro
in cui è difficile nascondersi e dove luci trasversali
e commistioni di materiali leggeri e pesanti trasmettono incertezza,
instabilità, impotenza. Purtroppo lo stile di Simon
West assomiglia a quello di un elefante costretto a muoversi
in mezzo a delicatissimi vasi di cristallo e l’effetto
è devastante. Tensione zero, paura lasciata nel campo
dei buoni propositi, noia assicurata. Il regista ha dichiarato
di non amare il genere horror, e tutto ciò traspare
in maniera sin troppo evidente. Non frequentando il genere
e non conoscendone le regole, ripropone stancamente meccanismi
di maniera, svuotandoli di ogni contenuto emotivo. Non solleva
le sorti del film la protagonista Camilla Belle, diciottenne
dal bel faccino ma dalle limitate capacità espressive.
Che pianga o che rida, sempre una faccia tiene… un po’
poco, non credete? [fabio melandri]