In una
notte stellata, un piccolo minatore vede un punto luminoso
che magicamente si avvicina facendosi sempre più grande;
quello che sembra essere una stella caduta troppo in basso,
è in realtà una ragazzina dormiente che scende
dal cielo cullata in un fascio di luce. Con questo biglietto
da visita poetico e meravigliosamente tratteggiato, il più
acclamato maestro dell'”anime” inventa l'incontro
tra i due caratteri che per oltre due ore occuperanno la scena
di questa storia uscita in Giappone nel lontano 1986 e ora
finalmente proposta anche in Occidente.
La bambina scesa dal cielo è un'orfana di nome Sheeta,
ed è in realtà appena sfuggita ad un tentativo
di rapimento da parte di una sgangherata famiglia di pirati
dell'aria, che tentava di strapparla alla custodia dell'esercito.
Dopo essersi lanciata nel vuoto si è salvata perchè
la pietra che porta al collo, l'”aeropietra”,
le permette di vincere la forza di gravità sprigionando
la luce di cui sopra. Con l'aiuto del piccolo minatore Pazu,
intraprenderà la fuga dall'esercito e dai pirati, ma
soprattutto cercherà di ritrovare la sua antica dimora,
la città di Laputa, che si dice sorga nel cielo oltre
le nuvole e che è al centro delle mire di molti malvagi,
perchè un tempo potentissima, ma ora disabitata e colma
dei tesori appartenuti ai vecchi regnanti.
Al contrario dei titoli più celebri che hanno contribuito
allo sdoganamento di Miyazaki, questa fantastica fiaba animata
punta molto sull'intreccio e la narrazione e meno del solito
sugli excursus poetici. La buona notizia (e anche il mistero
di più di tre decenni di oscuramento) sta nel fatto
che il tocco del Maestro non ne risente per nulla e anzi trova
modo di esprimersi attraverso una tecnica d'animazione eccezionale
(il film è disegnato interamente a mano e in gran parte
dallo stesso Miyazaki) e una fantasia visionaria fuori da
ogni canone. La città che dà il titolo al film
è un esplicito riferimento ai “Viaggi di Gulliver”
di Swift, ma c'è anche tanto Jules Verne, Asimov (nel
robot che come il più umano dei samurai si sacrifica
per la sua padrona) e un occhio a tanta illustrazione di fantascienza
da Ron Cobb in poi (le forme dei velivoli sono innumerevoli
e sempre sorprendenti).
Non è un caso che i nomi appena citati siano tutti
occidentali, perchè l'amalgama inconfondibile di Miyazaki
ha evidentemente tenuto un occhio ben aperto sul nostro Mondo,
senza per questo perdere i suoi tratti distintivi. Restano
dunque i temi dominanti della sua opera, nel culto dell'aria
(tutti volano o provano a volare, anche lo spettacolare inseguimento
in treno si svolge nel vuoto, restando sempre coi piedi per
terra si muore o si appassisce), nella dedizione e nella fragilità
solo apparente dei protagonisti (entrambi senza reali legami
familiari, eppure mossi dal bisogno di compiere e tenere in
vita quanto era stato iniziato dai loro padri), nel sostanziale
pessimismo sull'umanità che permea il finale del film
e l'idea stessa di Laputa (una città che per conservare
la propria regale dignità deve autoesiliarsi lontano
dalle violenze e dalla follia distruttiva degli uomini).
Una volta tanto viene voglia di dire grazie agli Oscar e ai
Festival di mezzo mondo che hanno incensato questo autore
perfezionista all'eccesso, sollecitandone la riscoperta del
catalogo passato. Siamo lontani anni luce dall'animazione
fragorosa e un po' grossolana che oggi accalappia tanti piccoli
spettatori. In questo mondo senza tempo (l'ambientazione è
di fine '800, il film potrebbe essere stato prodotto cinquanta
anni fa come oggi) ci sono robot solitari che portano fiori
sulle tombe dei loro caduti e si esprimono con semplici modulazioni
elettroniche e se si guarda bene verso il cielo, si possono
vedere alberi giganti con radici sulle nuvole. Cari bambini,
potrebbe essere giunto il momento di aprire davvero i vostri
occhi. [emiliano
duroni]