“Per
fare una truffa, occorre un pollo.” E di polli o presunti
tali ce ne sono una moltitudine di candidati in Cash.
Toccherà allo spettatore, tra tanti possibili candidati
che di volta in vola si passano il testimone della penna di
pollo, scoprirne la reale identità, l’obiettivo
di una truffa colossale e complicatissima che si dipana in
100 minuti di trucchi e barbatrucchi. Siamo dalle parti di
Ocean’s Eleven e Slevin
ma sul versante europeo, o meglio francese.
Cash (Jean Dujardin) è un truffatore e ha fascino,
eleganza, audacia. Quando suo fratello viene ucciso, decide
di vendicarlo a modo suo, senza armi né violenza ma
organizzando una truffa très élégant
per trafugare una valigia piena di diamanti. Ma il compito
non è facile perché Cash sta per essere presentato
al futuro suocero (Jean Reno) e la sua organizzazione è
oggetto di una inchiesta internazionale coordinata da una
tenace ispettrice dell’Europol (Valeria Golino).
In un’avventura del genere, tutti mentono, bleffano
e cercano di essere qualcun altro. I complici, a volte, si
rivelano traditori ed i traditori complici. Le alleanze non
durano che un attimo e per vincere bisogna essere pronti a
perdere.
Al suo secondo lungometraggio, dopo svariate sceneggiature,
Eric Besnard costruisce un complicato intrigo di uomini e
donne, ladri e poliziotti, amanti ed agenti segreti in cui
non tutto a rigor di logica torna, dove il rischio di perdersi
tra nomi, antefatti, personaggi apparentemente defunti e poi
risorti, doppie identità e tripli giochismi –
sembrerebbe una tipica giornata di politica italiana, ma così
non è – è alto ed in effetti accade.
Ma nel complesso Cash è
un tipico esempio di pellicola per nulla pretenziosa e presuntuosa,
che diverte, incuriosisce quel tanto da tenere lo spettatore
il giusto impegnato e divagato, senza poi lasciare segno tangibile
tanto nella storia del cinema quanto nel ricordo dello spettatore.
Ma con i tempi che corrono, i fondi dei magazzini pronti ad
essere raschiati e l’imminente periodo estivo, ci aspettavamo
di peggio… molto peggio. [fabio
melandri]