Marion
(Vanessa Redgrave) è un'anziana donna gravemente malata
che vive accudita costantemente dal burbero marito Arthur (Terence
Stamp). Il suo unico svago è rappresentato dalle prove
con un coro di anziani della zona che prova a partecipare ad
un importante concorso nonostante un repertorio spiccatamente
pop, grazie alla spinta e all'entusiasmo di una giovane volontaria
(Gemma Arterton). Arthur asseconda sempre più controvoglia
la moglie in questa esperienza, perchè preoccupato che
possa stancarsi troppo e perché trova ridicolo che delle
persone della sua età si divertano cantando e muovendosi.
Quando Marion lo lascerà solo, inaspettatamente Arthur
troverà in quelle canzoni e nel dialogo con la giovane
insegnante di canto la forza per ricominciare e per tenere vivo
il ricordo della moglie.
In barba alle statistiche mondiali, che parlano di arzille ottuagenarie
ancora a spasso e dei loro mariti o ex da tempo passati a miglior
vita, il cinema che tratta di terza età e di malattia
pare trovare maggiore ispirazione nel descrivere gli uomini
che assistono al capezzale le loro amate, come dimostra il celebrato
“Amour”,
ma anche il bello e sottovalutato “Away
From Her” di qualche anno prima. Questo
delicato “grey pound” (è questo il nome che
ad Hollywood danno alle storie di e per la terza età
che attirano sempre più incassi) non fa eccezione e si
concentra sulla tardiva apertura d'animo del vecchio Arthur.
Purtroppo l'accostamento tra musica e anziani nella trama ricorda
il recente “Quartet”
che ha segnato l'esordio alla regia di Dustin Hoffman e in realtà
le situazioni comiche giocano sull'impaccio e la goffaggine
dei vecchietti piuttosto che mirare a un pubblico più
maturo della media.
Per fortuna il cast è di altissimo livello anche quando
si esibisce nel canto (la Redgrave che interpreta Cyndi Lauper
è toccante ma Billy Joel secondo Terence Stamp è
memorabile), per merito di due veri e propri mostri sacri della
cinematografia britannica. Singolare e azzeccata è la
scelta di presentare due bellezze magnetiche e indiscutibili
come quella di Stamp e della Arterton in una veste trasandata
e prosaica (a umanizzare il primo ci prova un vecchio impermiabile
consumato e la barba di qualche giorno, mentre la giovane insegnante
indossa solo ballerine dall'inizio alla fine nel tentativo di
azzerare la carica sessuale della filmografia precedente).
Il regista e sceneggiatore Paul Andrew Williams, che proviene
dall'horror e dall'action movie, per il cambio di genere sceglie
un realismo molto attento alla commozione, senza badare però
alla profusione di zucchero, che rende tutti i personaggi di
contorno buoni e più o meno adorabili fiaccandone così
le dinamiche, soprattutto nel difficoltoso rapporto tra Arthur
e il figlio. Resta così più credibile la prima
parte concentrata sull'anziana coppia, piuttosto che la seconda
con la più inopinata amicizia tra Arthur e la volontaria.
In fondo però ci sono tempi duri, il futuro è
incerto o preoccupantemente breve e come dimostrano la profusione
di canti e balli in tutti i contesti più o meno mediatici,
c'è bisogno di svago e di leggerezza; quando c'è
almeno lo sforzo per un po' di qualità è forse
allora giusto non andare troppo per il sottile. [emiliano
duroni] |