Tra gli
anni ’70 e ’90, il Perù ha vissuto uno
dei più oscuri capitoli della sua storia. Per più
di 20 anni, migliaia di donne, vittime della violenza della
guerra, sono rimaste in silenzio. E i crimini perpetrati le
segnavano con ferite e traumi indelebili, non solo nelle loro
anime, ma anche in quelle dei loro figli, che ereditarono
il loro terrore.
Il latte del dolore è una “malattia” che
si trasmette tramite il latte materno. È il simbolo
della paura e della sofferenza che si diffonde con la guerra.
Coloro che ne soffrono, dicono, non hanno un’anima,
nascono senza perché questa, per il terrore, si è
nascosta sottoterra.
Di questo parla Il canto di Paloma
della regista Claudia Llosa, Orso d’Oro all’ultimo
Festival di Berlino ed ora in uscita nelle sale italiane grazie
alla Archibald Film.
La madre di Fausta, una ventenne peruviana, sta morendo e
le ricorda cantando che lei è stata allattata con “il
latte del dolore” perché nata negli anni Ottanta,
anni in cui terrorismo e stupri erano all'ordine del giorno.
Dopo la morte della madre, Fausta vorrebbe offrirle un funerale
degno di questo nome ma i pochi soldi sono stati tutti investiti
nei festeggiamenti per l'imminente matrimonio della cugina.
Lo zio però vuole che il cadavere venga seppellito
prima delle nozze. Fausta che vive in una baraccopoli alla
periferia di Lima cerca di vincere le sue paure e trova lavoro
come cameriera presso una pianista. Spera così di mettere
insieme una somma adeguata per le esequie.
Fausta è un personaggio dall'assoluta originalità.
Ha fatto del suo corpo un vero e proprio terreno. Perché
il terrore di essere violentata l'ha spinta ad inserire una
patata nella vagina, che ha preso a germinare, a utilizzare
come vero e proprio scudo perché solo il disgusto può
repellere i disgustosi.
La regista pedina la protagonista attraverso l’occhio
attento e partecipe della cinepresa a mano, tra i suoi lunghi
silenzi carichi di una disperazione latente ma mai vivamente
espressa, grazie all’interpretazione dell’attrice
protagonista Magaly Solier che a proposito del suo personaggio
dice: “Interpretare Fausta è stato difficile
per me. Alcune scene erano estremamente difficili, in particolare
quella in cui Fausta è costretta a indossare un vestito
celeste e correre. Nel complesso è stato estremamente
faticoso, perché Fausta non ha nulla in comune con
me. Dopo le prove mi sentivo sempre depressa, perché
non riuscivo a trovare Fausta in me, anche se avevo conosciuto
molte donne che erano state violentate durante la guerra.
Ma un giorno, durante le prove, Claudia (la regista, ndr)
mi ha detto: “Fausta è già dentro di te”,
e in quel momento ho iniziato a sviluppare la sua voce, il
suo modo di trovare conforto, di cantare… Fausta è
emersa dal mio profondo grazie alla musica.”
[fabio melandri]