Jim
Jarmush (Dead Man, Ghost
Dog, Coffee & Cigarettes)
più che raccontarci storie, tende a raccontare pezzi
di vita. In quanto tale ci introduce, accompagna ed in fine
abbandona dentro le vite di persone, individui che vivono -paradossalmente-
la vita messa in scena sullo schermo, cogliendone gli aspetti
più sottilmente paradossali e melanconici.
Non si distacca da questa impostazione la sua ultima fatica
Broken Flowers, premiato a Cannes
con il Gran Premio della Giuria ed interpretato da un misuratissimo
e volutamente sottotono Bill Murray che sembra riprendere in
parte il suo personaggio di Bob Harris in Lost
In Translation.
In questo frangente il senso di solitudine e spaesamento è
dato non da un luogo come poteva essere per l’appunto
Tokyo, ma dalla notizia di un figlio avuto da una delle sue
precedenti amanti ed ora in viaggio per il mondo alla ricerca
del padre. Vero? Falso? Sembra importare assai poco a Jarmusch,
più interessato a scavare nell’anima di questo
Don Giovanni un po’ attempato ed assai disilluso (dalla
vita? dalle donne? da se stesso?) che subisce più che
vivere la propria esistenza come una foglia trascinata dalla
corrente di un torrente.
Un film dotato di un fascino sottile e non immediato, dove i
dialoghi rarefatti e le atmosfere che vivono di colori desautorati
(come nell’appartamento di Don) alternati a colori pastello
accesi come in un Technicolor stile Anni Cinquanta (le case
delle sue quattro amanti) cadenzano una narrazione lenta ed
inesorabile verso un finale tanto improvviso quanto aperto,
per lasciarci appesi ad una infinità di interrogativi
e domande a cui non avremo mai alcuna risposta e che forse va
ricercata dentro ognuno di noi.
[fabio melandri]
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