Born Into
Brothels
ha ricevuto, oltre a innumerevoli premi, l’Oscar 2005
come Miglior documentario e mai premio fu tanto meritato.
La fotografa americana Zana Briski testimonia attraverso le
immagini di questa pellicola la sua esperienza pluriennale
di vita trascorsa nei vicoli dal quartiere a luci rosse di
Calcutta, inizialmente accanto alle prostitute e, poi, insieme
ai loro figli, a cui regala una macchina fotografica e insegna
a raccontarsi attraverso la fotografia. La breve durata del
documentario contiene tutta la densità degli anni impegnati
da Zana nel farsi accettare dagli abitanti del bordello, esprime
tutta la pazienza, l’entusiasmo, la spinta empatica
che caratterizzano il suo rapporto con loro e, successivamente,
con i bambini.
Born Into Brothels unisce all’aspetto
antropologico di una sorta di “osservazione sul campo”,
in cui l’occhio del soggetto osservato si affianca a
quello del suo osservatore attraverso un meraviglioso etero-autoritratto,
la poesia dell’immagine cinematografica, nella quale
lo sguardo del regista traspare con tutta la sua carica soggettiva.
Grazie alla sua lunga esperienza a Calcutta, Zana Briski riesce
a coinvolgere lo spettatore direttamente nella vita dei bambini
del quartiere; mostrando le foto e il loro modo di descriverle
offre un autentico e emozionante racconto del loro modo di
vivere e sentire il mondo che li circonda.
All’interno del film non è presente alcun indugio
pietistico sui particolari della vita delle donne, nonostante
l’intenzione dei registi sia rivolta ai bambini, le
madri sono riprese esaltando la loro magnifica dignità:
l’espressività e il contegno delle prime scene
le mostra quasi come muse in attesa di cantare dolci racconti.
I colori dell’India e l’ingenuità dei piccoli
fotografi riempiono il tempo della visione, trasformandola
in un’intensa esperienza. La familiarità della
macchina da presa con i luoghi che percorre e con i bambini
fa sì che la spontaneità e la profondità
dei loro racconti risaltino con tutta la carica realistica.
Stupisce e commuove l’acume con il quale motivano le
loro osservazioni, così come fa riflettere l’affermazione
di Avijit quando dice che una foto deve essere guardata perché
è reale. Il loro sguardo sul mondo in cui sono immersi
è scevro da qualsiasi canone estetico, è un
punto di vista molto approfondito, che si sofferma su particolari
in apparenza irrilevanti, ma che stupiscono per naturalezza
e realismo. Le immagini scattate dai bambini sono il riflesso
di una condizione difficile a cui guardano con fresca e profonda
non rassegnazione. [federica
scarnati]
| intervista
a zana briski |