Boris - Il film
id.
Regia
Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre, Luca Vendruscolo
Sceneggiatura
Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre, Luca Vendruscolo
Fotografia
Mauro Marchetti
Montaggio
Massimiliano Feresin
Scenografia
Michele Modaferri
Costumi
Fiorenza Cipollone
Musica
Giuliano Tavani, Carmelo Travia
Interpreti

Luca Amorosino, Valero Aprea, Ninni Bruschetta, Paolo Calabresi, Antonio catania, Carolina Crescentini, Massimo De Lorenzo, Carlo De Ruggeri, Roberta Fiorentini, Caterina Guzzanti, Francesco Pannofino, Andrea Sartoretti, Pietro Sermonti, Alessandro Tiberi, Giorgio Tirabassi

Produzione
Wildside, Rai Cinema, Sky Cinema
Anno
2011
Nazione
Italia
Genere
commedia
Durata

108'

Distribuzione
01 Distribution
Uscita
01-04-2011
Giudizio
Media

“Ci sono scene troppo brutte perfino per un regista televisivo come Renè Ferretti. E sì che di monnezza ne ha girata tanta, narcotizzanti apologie del presente, inquietanti biografie di santi e tante altre ancora (“Caprera”, “La bambina e il capitano”, “Gli amici tassinari”, “Libeccio”). E allora basta. Meglio l’insicurezza economica, meglio il cinema. Meglio tradire tutti - la Rete, la moglie in attesa di alimenti, la impresentabile storica troupe - e buttarsi nel cinema. Tanto più se la sfida è un copione libero, serio, forte, di denuncia, “alla Gomorra”. Sì, perché il cinema è più povero della TV (“dopo il cinema c’è la radio, dopo la radio c’è la morte”) ma ancora libero e poetico. Perfino in questo vessato paese. Purtroppo però, anche con un progetto “alla Gomorra”, bisogna fare i conti con la palude culturale di questa nostra povera Italia: I committenti del salotto buono del cinema si rivelano, alla prova dei fatti, solo diversamente codardi. I nuovi collaboratori solo diversamente inaffidabili. E la presunta grandeur del cinema una rogna senza fine. Come per una condanna divina, nonostante i suoi lodevoli sforzi, René Ferretti si ritrova tra i piedi la stessa troupe scalcinata di sempre, gli stessi attori cani, gli stessi sceneggiatori inetti e perfino lo stesso borioso capetto d’un tempo. Con qualche colpo di fortuna e grazie alla sua proverbiale scaltrezza, un film decente sarebbe ancora arrangiabile. Ma incombe la maledizione metafisica di un paese chiamato Italia, che ama i simpatici e i cialtroni e non premia certe malinconiche seriosità. E la “Grande Commedia” incombe.
Un fenomeno televisivo di nicchia come Boris sbarca oggi sul grande schermo e non si fa pregare per raccontare lo sfacelo culturale, morale e politico di questo nostro povero paese. Ma senza le oscurità de Il divo, la violenza di Gomorra, la poetica de Il caimano. Con un sorriso a volte sarcastico, a volte beffardo, mai banale della comicità intelligente. Si perchè l'operazione Boris - che a detta dei suoi autori/registi Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre, Luca Vendruscolo, è arrivata al capolinea dopo 3 stagioni televisive ed il film – ha il coraggio di raccontare le cose come stanno, lo stato della cultura italiana che non è risultato della sola azione di questo ultimo governo, ma un malato allo stato terminale frutto di una serie di esperienze governative non brillanti. Capace di fare a volte nomi e cognomi, e quando mancano facili riferimento a persone reali che lo spettatore non farà difficoltà a riconoscere. Se il Boris televisivo parlava del sistema industriale televisivo, quello cinematografico non potrebbe parlare con più chiarezza di quello cinematografico, dai presunti artisti conclamati al fenomeno dei cine-panettoni, dalle attrici insicure che popolano l'industria al confronto con l'industria americana, attraverso una comicità ripulita dai tormentoni più noti “per non escludere completamente il pubblico che non conosce la serie televisiva” chiosano ancora i tre registi.
Boris il film è innanzi tutto un film per il cinema e non una furba operazione di codifica di un prodotto da una media ad un altro e neanche un tentativo di ampliare il pubblico del serial “se il film va bene lo vedranno all'incirca 700.000 spettatori, medesimi numeri che facciamo su Sky” puntualizza Ciarrapico. E' il tentativo di fare una commedia divertente ma con un retrogusto amaro e malinconico, dove si ride di cuore ma a volte vergognandosi, ridendo di se stessi e con se stessi, nel tracciato segnato in passato dalla grande tradizione della commedia all'italiana. [fabio melandri]