Nel 2010
cinque ragazzi californiani raggiunsero improvvisamente la celebrità,
perchè si scoprì che da tempo erano soliti intrufolarsi
nelle lussuose case di personaggi più o meno famosi di
Los Angeles, riportandone costosi vestiti griffati, gioielli
e non contenti condividendo le loro imprese con i compagni di
scuola e anche sui social networks. Il Bling Ring sembra proprio
uno specchio dell'adolescenza ambigua e desolata di oggi e,
nonostante un'inchiesta di Vanity Fair e un film per la tv,
non poteva non attirare l'attenzione di una regista particolarmente
sensibile come Sofia Coppola.
La prima desolante constatazione è che nel nuovo Millennio
ad attirare i giovani al posto del solito “sesso droga
e rock 'n roll” è subentrato un trittico come “shopping,
droga e gangsta rap”; essendo rimasto in piedi l'unico
elemento sicuramente dannoso per la salute e avendo notevolmente
abbassato la godibilità dei restanti due, c'è
veramente poco da essere allegri. Nel seguire questi ragazzi
apparentemente normali ma insensibili e completamente senza
morale nelle case di Lindsay Lohan e Paris Hilton (che ha gentilmente
messo a disposizione l'originale per le riprese) e ricca compagnia
fino al triste contrappasso, lo stile di “Lost
in Translation” e de “Il
giardino delle vergini suicide” non cambia
di una virgola, accompagnando lunghe scene senza dialogo con
la musica, curando i dettagli, inserendo cameo di celebrità
per rendere ancora più Vip gli ambienti esclusivi e fregandosene
del ritmo che pure una storia di cronaca avrebbe potuto garantire.
In questa impresa, la regista americana si affida ad attori
quasi esordienti (neppure questa è una novità)
a parte l'ex maghetta Emma Watson e mette in evidenza Israel
Broussard, il maschietto del gruppo, bravo a tratteggiare la
graduale perdita dell'innocenza man mano che la bravata si trasforma
in un crimine reiterato.
Si dovesse prendere come monito etico per le generazioni di
domani, parrebbe un po' semplicistico e prevedibile scaricare
su famiglie assenti e/o incapaci e media deleteri tutta la colpa.
Per sintetizzare il cinema che la Coppola propone ormai con
una certa ciclicità viene in mente l'immagine prolungata
che chiudeva il precedente “Somewhere”, con la Ferrari
del protagonista che girava vorticosamente su stessa senza andare
in realtà da nessuna parte.
Forse ha capito i nostri tempi fin troppo bene e il suo consolidato
linguaggio al femminile (attento a trucchi e griffes) è
il migliore per raccontarli; d'altra parte è innegabile
una sempre crescente sensazione di vuoto all'uscita dai suoi
film, favorita da un'attenzione smodata per il trash televisivo
e non solo nei suoi due ultimi lavori, che sembra assimilare
e approvare con troppo poco distacco ciò che si vorrebbe
invece trattare e analizzare. C'è insomma il forte rischio
che più che come voce del disagio giovanile la Coppola,
nonostante le sperticate lodi ricevute tuttora da più
parti, venga ricordata come colei che ha fatto indossare le
Converse a Maria Antonietta ed ha sdoganato, senza che incredibilmente
nessun naso si arricciasse, Simona Ventura e Paris Hilton sui
gloriosi schermi delle più grandi rassegne di cinema
internazionale. Ai posteri, come sempre, l'ardua sentenza. [emiliano
duroni] |
Interpreti |
Israel Broussard, Emma Watson, Taissa Farmiga, Katie
Chang |
Produzione |
American
Zoetrope, Nala Films, StudioCanal |
Distribuzione |
Lucky
Red |
Uscita |
26/09/2013 |
Nazione
| Anno |
Usa,
UK | 2013 |
Genere
| Durata |
drammatico | 90' |
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