Bittersweet Life
Dal kom han in-saeng
Regia
Kim Ji-woon
Sceneggiatura
Kim Ji-woon
Fotografia
Kim Ji-yong
Montaggio
Choi Jae-geun
Musica
Jang Yeong-gyu
Interpreti
Lee Byung-hun, Kim Yeong-cheol, Shin Min-a,
Hwang Jeong-min, Kim Roe-ha
Anno
2005
Durata
120'
Nazione
Corea del Sud
Genere
thriller
Distribuzione
Lucky Red

Sunwoo è un gorilla impeccabilmente vestito e vagamente esteta (non a caso la prima inquadratura lo ritrae in gessato mentre gusta una sacher torta) al servizio del grande e spietato boss Kang. Il rapporto tra i due e lo stesso di quello che intercorre tra un figlio promettente, desideroso di crescere secondo i dettami del padre, ed un genitore orgoglioso della sua creatura.
L’idillio si rompe e gli eventi prendono una brutta piega quando Kang incarica Sunwoo di sorvegliare la sua giovane e sensuale fiamma (del peccato?) di nome Heesoo, con espresso ordine di freddarla nel caso di fragrante adulterio. Heesoo è una finestra aperta su un campo fiorito, con la sua delicata sensualità e la voglia tutta giovanile di divertimento e leggerezza; ovviamente, come da manuale, Sunwoo ne rimane incantato e quando scopre la magagna (l’adulterio) dà in escandescenza ma lascia sostanzialmente impuniti i due amanti galeotti. Agendo di testa propria, contravvenendo al supremo ordine del padre-padrone, egli rovina vertiginosamente dalla posizione di fidato braccio destro a quella di ultimo dei servi, in un rovesciamento dialettico che lo priva, agli occhi del boss, di umanità e dignità. Umiliato, straziato, torturato dagli sgherri suoi ex-amici, subisce un seppellimento prematuro dal quale emergerà soltanto grazie ad un insaziabile sete di vendetta, deciso a punire l’artefice/artefici della sua caduta. Il regista Kim Jee-Woon (The Quiet Family, A Tales of Two Sister) mette in scena un opera dall’andamento ellittico, con incipit e prologo nel lussoso e modernissimo salone d’hotel in cui Sunwoo svolge la mansione (pura facciata) di direttore, intrisa di atmosfere melò e riminiscenze noir; tutto quanto mescolato e raffinatamente confezionato alla maniera coreana. Bittersweet Life, rifiuta sia l’etichetta di film di genere sia quella, a volte abusata, di noir. Se da un lato il personaggio di Sunwoo ammicca al Delon tenebroso, schivo ed atteggiato delle pellicole di Jeanne Pierre Melville (Frank Costello, Faccia d’Angelo, Les Samurai), apparendo inconfutabilmente noir, dall’altro con il procedere dell’intreccio diviene palesemente avvertibile, a livello di sceneggiatura, l’inconsistenza della caratterizzazione. Il triangolo pessimismo-alienazione-esistenzialismo finisce per essere intrappolato nelle reiterate sequenze da action-movie, che seppur esteticamente notevoli, plagiano eccessivamente la scuola di Hong-Kong ed il suo più celebre rappresentante John Woo. Le coloriture noir si stemperano progressivamente; il protagonista, chiudendosi in un mutismo impenetrabile, si limita ad esternare la propria sofferente condizione soltanto attraverso il volto imbronciato; scarni e talvolta didascalici i dialoghi che in un noir contano più delle scazzottate (anche se qui trattasi di acrobatici combattimenti in stile Bruce Lee) e delle rivoltellate. “Una pistola mostrata troppo spesso è come un sipario calato troppo in fretta su di un secondo atto scadente” diceva Raymond Chandler per bocca della suo beniamino Philip Marlowe. Insomma più che un film di genere, Bittersweet Life assomma e compone ruffianamente molte differenti visioni di cinema. In questo senso il finale è paradigmatico risultando una commistione tra primi piani e suspence alla Spaghetti Western, l’epico romanticismo dei rallenti nello scontro finale alla The Killer, una sapiente ed ironica orchestrazione della carneficina da scontri a fuoco in stile Tarantino, il tutto accompagnato da una musica che emula vergognosamente il tema deIl Buono, il Brutto ed il Cattivo. Un film patinatamente estetico, virtuoso a livello registico, appagante per gli occhi quanto indifferente per il cuore. Sarebbe impietoso definirlo come un superbo esercizio di stile, di certo non guasta utilizzare un aggettivo mutuato dalla storia dell’arte: manierista. [matteo burioni]