Chi ha
superato la soglia dei trent’anni dovrebbe ancora ricordare
una serie televisiva, che trasmettevano di tanto in tanto
sulle reti RAI.
“Le simpatiche canaglie”, telefilm che vanta anche
un remake cinematografico di qualche anno fa, e che raccontava
le peripezie di un gruppo di bambini che vivevano “avventure
di quartiere” in una sorta di micro-società ricostruita,
un po’ come in Il Signore delle
mosche, romanzo del 1952 scritto da William Golding,
ma con una spiccata vena comica da commedia slapstick.
Djamel Bensalah, regista francese di origini algerine, con
il suo Big City ci riporta nell’atmosfera
di una commedia allegra dove i bambini, costretti dalle circostanze,
giocano a fare gli adulti, ma non si limita a questo. Va oltre
trasformando la parodia del genere western in una critica
cosciente della società americana. Una critica storica
che prende in considerazione la questione del rapporto con
le popolazioni dei nativi americani, la schiavitù della
minoranza afroamericana, con tanto di nascita della società
segreta del ku klux klan. Uno sguardo alla società
americana del passato per prendere di mira quella attuale,
infondo.
L’ambientazione, il tono del racconto, e i piccoli talentuosi
protagonisti attireranno le famiglie che si troveranno davanti
a un film fatto non proprio per ragazzi.
Tutto ha inizio quando gli adulti di Big
City abbandonano la città per correre in soccorso
di una carovana attaccata dagli indiani. I bambini si troveranno
improvvisamente da soli e superati i primi momenti ludici,
si scontreranno con la responsabilità di governare
una città e ricoprire dei ruoli, scoprendo che fare
i grandi non può essere soltanto un gioco.
Un film di buoni intenti e belle speranze, pieno di fiducia
nelle possibilità delle future generazioni.
[andrea pirrello]