La bestia nel cuore
id.an
Regia
Cristina Comencini
Sceneggiatura
Cristina Comencini, Francesca Marciano,
Giulia Calda
Fotografia
Fabio Cianchetti
Montaggio
Cecilia Zanuso
Musica
Franco Piersanti
Interpreti
Giovanna Mezzogiorno, Luigi Lo Cascio, Alessio Boni, Stefania Rocca, Angela Finocchiaro, Giuseppe Battiston, Francesca Inaudi
Anno
2005
Durata
120'
Nazione
Italia
Genere
drammatico
Distribuzione
01 Distribution
Sabina, attrice mancata, vive doppiando film. E’ sposata felicemente con un attore che recita in tv ma ha ben più alte aspirazioni. Si vede spesso con un’amica non vedente che la ama sin dai tempi della scuola. E la sua vita scorre tranquilla. Finché una notte ha un terribile incubo. Qualcosa del suo passato sta affiorando prepotentemente e non le lascia più dormire sonni tranquilli. Per superare l’inquietudine decide di andare dal fratello che si è trasferito negli Stati Uniti e si è rifatto una vita. Qui scoprirà la verità sul suo passato…
Tratto dall’omonimo romanzo scritto peraltro dalla stessa regista, La bestia nel cuore è un vero disastro, di quelli che affossano anche il più ottimista dei critici, film emblematico della contaminazione invasiva ed incontrollabile da parte della tv nella vita degli Italiani, causa incontestabile della crisi profonda che sta attraversando il nostro cinema. Non si può purtroppo parlare di cinema in questo casa perché La bestia nel cuore è semplicemente un’ atroce fiction tv portata sul grande schermo non si sa bene in nome di che cosa, della Cattleya o della 01 Distribution forse. Con una fotografia da terzo mondo, una sceneggiatura da mentecatti e una regia inesistente, scorrono malamente 120 minuti di luoghi comuni insopportabili alternati a siparietti comici che non portano a nulla. E paradossalmente nel film Alessio Boni, che interpreta il marito di Sabina, si rifiuta di lavorare in una fiction tv perché non ha niente a che vedere con il cinema. In concorso alla 62esima MOstra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, Coppa Volpi alla miglior interpetazione femminile per Giovanna Mezzogiorno!
[marco catola]

Il sapore amaro è una sfumatura del gusto della vita, il dolce non può sempre stare sulle papille gustative. Niente avrebbe più sapore altrimenti. Il passato scuote e pungola come una lavatrice colma di chiodi ma guardare indietro è spesso cosa da non fare. Cristina Comencini, donna di tradizione letteraria e cinematografica per albero genealogico ancor prima che per volere proprio, scrive il libro dal quale il film è tratto e (si) realizza e (si) dirige la pellicola omonima relativa senza passare per intermediari. Presentato da poco alla 62a Mostra del Cinema di Venezia, dividendo pubblico e critica di settore, La bestia nel cuore è un lavoro profondo. Sull’animo, sui personaggi, sullo scavo interiore che essi fanno e sullo svilupparsi di una trama basata essenzialmente su dialoghi mai banali, sul confronto e sul rapporto col passato. L’argomento, difficile e tormentato, dell’abuso familiare da parte del
padre (Valerio Binasco) nei confronti di Sabina e Daniele è trattato con i guanti, mai dunque in modo superficiale e dando spesso risalto a quelle sfumature che rendono realistico il tutto, filtrate sia dal testo che dai volti. Sbagliare il bersaglio in questi casi è facilissimo e passare dalla retorica allo scontato (se non al pacchiano) è il rischio che si corre se non si hanno le idee nitide e i ritmi addosso. E legittimo chiarire in anticipo che l’ottimo cast di attori ha reso possibile un soggetto non facile e che l’interpretazione (ad alti livelli) di ogni singolo personaggio risulta essere l’arma vincente del progetto della Comencini. Lo stesso film girato con attori di media capacità o di modesta levatura avrebbe reso inguardabile il rischioso lavoro della scrittrice/regista. Su tutti Giovanna Mezzogiorno e Luigi Lo Cascio, introspettivi, viscerali e intimistici. A seguire Stefania Rocca (Viol@), Alessio Boni (La meglio gioventù) e la “rispolverata” Angela Finocchiaro (Volere volare) si posizionano poi una spanna sopra ai comunque talentuosi Giuseppe Battiston (Pane e tulipani) e Francesca Inaudi (Dopo mezzanotte), impegnati in figure sicuramente meno complicate e più di “contorno”. La Comencini sa da che parte stare. Con i più deboli. Le donne, il teatro, i bambini, chi non vede. E mentre la televisione recluta attori e registi di spessore a suon di banconote ed elargisce stupidità e superficialità in quantità industriale, i piccoli ruoli arguti o almeno sinceri, si difendono come possono, danno battaglia e si compiacciono d’irrisorie ma esaltanti redenzioni. Il film non è mai stanco o pesante nonostante l’argomento trattato attraverso svariate relazioni, la comunicazione trasale.
I momenti di raccordo sono giusti, lo scorrere dei mesi durante il film è coerente e senza scompensi temporali. La regia mai sopra le righe ma, tuttavia semplice con stile, evidenzia la rarefazione dei momenti e la perdita degli affetti senza immortalarli come fotografie. I dolori calano su tutti i personaggi, annichiliscono e fanno gridare dentro. Ma scavalcarli o evitarli in progressione serve a vedere oltre l’ostacolo e quindi a godere degli eventi che intorno succedono. Per riuscire a convivere con le proprie paure bisogna toccarle, a volte farne parte. Diventare padri, madri, genitori, assorbire l’amore sotto altri aspetti, da pori nascosti dall’ovvio, vedersi da altre angolazioni è forse un modo per reagire, per lasciarsi stupire e guardare la vita come qualcosa che domani non finirà. Perché probabilmente ci sarà sempre qualcosa che renderà un sorriso dopo un manto di tristezza. Perché come diceva Dostojevski, “La bellezza salverà il mondo”.
[alessandro antonelli]