Beautiful Country
The Beautiful Country
Regia
Hans Petter Moland
Sceneggiatura
Sabina Murray
Fotografia
Stuart Dryburgh
Montaggio
Wibecke Rønseth
Musica
Zbigniew Preisner
Interpreti
Nick Nolte, Damien Nguyen, Tim Roth, Bai Ling, Glen Bradford
Anno
2005
Durata
137'
Nazione
Norvegia-USA
Genere
drammatico
Distribuzione
Ladyfilm

Con Beatiful Country torna alla ribalta il cinema dei diseredati, dei miserabili, degli stranieri in patria. Binh (Damien Nguyen) è un giovane vietnamita di madre autoctona e di padre americano, un bui doi (letteralmente meno della polvere) condannato all’ostracismo e all’emarginazione dai ricordi indelebili della feroce guerra americana. Desideroso, ormai divenuto adulto, di ricongiungersi ai propri cari, giunge a Saigon dove riesce a scovare la madre che lavora come serva presso la residenza di un ricca signora. Dopo una breve parentesi assieme, Binh causa accidentalmente la morte dell’ anziana signora ed è costretto a fuggire e a separarsi dalla madre. Prima di partire la madre gli rivela che il padre, un ex-marines di nome Steve, abita a Houston in Texas. Passando attraverso una lunga prosopopea (fatta di viaggi sulle carrette del mare e di internamenti forzosi) Binh giunge in America e finalmente, con un piccolo gruzzolo faticosamente risparmiato, riesce a raggiungere e a conoscere il padre Steve (Nick Nolte), che abita una roulotte sperduta nelle vastità desertiche di un ranch. Beautiful Country del norvegese Hans Petter Moland approfondisce il tema degli amerasiatici, della loro vita d’inferno in un Vietnam ancora molto lontano dal perdonare gli orrori della guerra, delle difficoltà spesso insormontabili di raggiungere un paese che loro sognano, come milioni di altri immigrati, ma in cui essi hanno pieno diritto di vivere.
Al cinema eravamo al massimo abituati a vedere Gene Hackman che in Bat-21 tenta di salvare il figlio prigioniero in Vietnam dopo la disastrosa ritirata degli americani da Saigon (1975), oppure a parteggiare per il tenente Rambo impegnato in una rocambolesca azione solitaria per distruggere e liberare un intero campo di ex-marines prigionieri. Stavolta la vicenda si presenta al rovescio cominciando dal Vietnam ed avendo come protagonista un credibile Damien Nguyen (Binh) che ha vissuto, sulla sua stessa pelle di uomo prima che di attore, il viaggio della speranza in Malesia e da lì, la rotta avventurosa fino agli States. L’impegno civile nel raccontare il dramma quotidiano dei profughi e le enormi contraddizioni della società americana sono ben riscontrabili già a partire dal titolo che va letto in senso biunivoco. Per Binh che vuole costruirsi un futuro dignitoso non esiste altro se non seguire la via americana, per suo padre Steve, il “beatiful country” invece sarà sempre il Vietnam, dove ha conosciuto la moglie e a cui sono legati, nonostante il contesto di guerra, i ricordi più vividi della gioventù. Sia per la regia sia per la sceneggiatura il film di Moland non è certo impeccabile, mostrandosi lacunoso e poco verosimile nei plot points, (ad esempio il ritrovamento fortuito della madre a Saigon) scattoso e poco generoso nei confronti della straordinaria ricchezza paesaggistica e folkloristica del Vietnam: non importava essere Coppola o Bertolucci de L’ultimo Imperatore ma si potevano evitare molte sequenze stereotipate. Il film risulta scomposto in quattro macrosequenze: 1) La vita di Binh, “bui doi” nel Vietnam; 2) La fuga e l’internamento in Malesia; 3) verso L’America; 4) L’incontro con il padre.
Bella ed intensa la breve prova di Nick Nolte, intelligente e cinica (come nella migliore tradizione del cinema americano) la sua rappresentazione del veterano deluso dal paese per il quale si è sacrificato perdendo la vista per colpa di una esplosione. Altra scontata conferma viene da Tim Roth, nei panni del capitano OH, che conduce la nave dalla Malesia sino alle coste americane, menefreghista e sprezzante della vita e del pericolo. Un film consigliabile nonostante le molte pecche, non soltanto per l’importanza del tema trattato ma soprattutto per la bravura del cast e il talento del giovane protagonista. [matteo burioni]