Barbarossa
id.
Regia
Renzo Martinelli
Sceneggiatura
Renzo Martinelli, Anna Sanueli, Giorgio Schottler
Fotografia
Fabio Cianchetti
Montaggio
Osvaldo Bargero
Scenografia
Rossella Guarna
Costumi
Massimo Cantini Parrini
Musica
Pivio e Aldo De Scalzi
Interpreti
Rutger Hauer, Raz Degan, Kasia Smutniak, Cecile Cassel, F. Murray Abraham, Angela Molina, Hristo Shopov, Antonio Cupo, Elena Bouryka, Federica martinelli, Christo Jikov, Maurizio Tabani
Produzione
Martinelli Film Company International
Anno
2009
Nazione
Italia
Genere
storico
Durata
139'
Distribuzione
01 Distribution
Uscita
09-10-2009
Giudizio
Media

Renzo Martinelli, piaccia o non piaccia, rappresenta una mosca bianca nel panorama del cinema italiano. Gira in lingua inglese, si avvale di un cast internazionale (Donald Sutherland, F. Abraham, Rutger Hauer, Harvey Keitel, Jane March e Jordi Mollà), fa uso di effetti speciali digitali (da Vajont a Barbarossa), punta ad un mercato assai più ampio della sola penisola italica ed i suoi film suscitano sempre un vespaio di polemiche, andando a toccare argomenti dal sapore assai poco privato e molto pubblico: dalla tragedia del Vajont, al caso Moro de Piazza delle Cinque Lune, dalla strage partigiana di Porzus al conflitto tra Islam ed Occidente de Il mercante di Pietre.
Con il suo Barbarossa, Martinelli narra della figura di Alberto da Giussano, figlio di un fabbro milanese che a metà del 1100 si oppose all’Imperatore germanico Federico di Hohenstaufen, detto il Barbarossa.
Il film racconta della caduta di Milano ad opera del Barbarossa, delle sue cento torri distrutte, della popolazione costretta ad abbandonare la città in sei direzioni diverse, affinchè non dovessero più rincontrarsi, dell’alleanza tra i comuni della Padania, come Lodi, Verona, Alessandria, Ferrara, Parma e la rinata Milano, acerrimi nemici prima, nel nome della riconquista della libertà dagli oppressori germanici.
Su questo scenario si staglia la figura di Alberto da Giussano, della sua travagliata storia d’amore con la bella Eleonora, vista come strega e preda di visioni dopo essere stata toccata da un fulmine e sopravvissuta, delle riunioni carbonare a Pontida delle compagnie della morte, figura, luoghi ed eventi presi ad icona del movimento politico della Lega Lombarda. La qual cosa, volente o nolente, rischia di trasformare un film epico nelle sue intenzioni – “L’avventura vissuta dalla città di Milano nel dodicesimo secolo rappresenta un unicum nella Storia d’Italia. Un’avventura che il cinema, curiosamente, non ha mai tentato di raccontare. Forse per le difficoltà tecniche che la produzione di un film sulla sfida tra i milanesi e l’Imperatore Federico Barbarossa inevitabilmente comportano: eserciti tedeschi in marcia attraverso i valichi alpini, l’assedio alla città di Milano e la seguente distruzione con l’abbattimento delle oltre cento torri, la conclusiva battaglia di Legnano che vede in campo migliaia di uomini e cavalli e centinaia di carri falcati, la geniale invenzione di Mastro Guitelmo che si rivelerà decisiva per la vittoria della Lega dei Comuni. O, forse, a frenare soggettisti e sceneggiatori, è stata in tutti questi anni la naturale ritrosia del cinema italiano nei confronti di un genere epico che pure negli Stati Uniti ha dato vita a prodotti che hanno ottenuto un successo internazionale” racconta il regista – in un mega spot di una parte politica.
La critica militante spingerà il pedale su questo aspetto, noi cerchiamo di valutare l’opera dal punto di vista artistico. Martinelli è un regista e sceneggiatore che non usa i sottotoni e non apprezza molto i non detto e le sfumature. Il suo cinema si avvicina molto a quello di Jerry Bruckheimer, dove per cinema si intende azione e narrazione veloce, fatta di picchi spettacolari e poca riflessione o approfondimento psicologico. E’ un cinema da blockbuster che può piacere come non. E se dal punto di vista spettacolare Barbarossa non delude, confezionato bene nei costumi, le scenografie, le ricostruzioni storiche di un medioevo lontano, con una regia che fa uso di una macchina da presa sempre in perenne movimento, dal punto di vista di dialoghi e recitazione, il film passa la mano. Raz Degan, nonostante la full immersion nel cinema accanto ad Ermanno Olmi (Cento chiodi) si dimostra ancora acerbo e monoespressivo nei primi piani, mentre più a suo agio nei campi lunghi e sull’azione. Ma il difetto più evidente della pellicola risiede nella assoluta mancanza di un crescendo emozionale e narrativo che dovrebbe esplodere, dopo oltre due ore di proiezione, nella battaglia finale nella pianura di Legnano. Invece il film dal punto di vista del tono, del volume della messa in scena, risulta piatto e monocorde, così che alla grande battaglia conclusiva si arriva sfatti, stravolti da troppa carne messa al fuoco e cotta frettolosamente. [fabio melandri]