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Anno
2011
Nazione
USA
Genere
biografico
Durata
133'
Uscita
27/01/2012
distribuzione
Sony Pictures Releasing Italia |
Regia |
Bennett
Miller |
Sceneggiatura |
Aaron
Sorkin,
Steven Zaillian |
Fotografia |
Wally
Pfister |
Montaggio |
Christopher Tellefsen |
Scenografia |
Jess
Gonchor |
Costumi |
Kasia Walicka-Maimone |
Musica |
Mychael Danna |
Produzione |
Columbia
Pictures,
Scott Rudin Productions,
Michael De Luca Productions, Film Rites,
Specialty Films |
Interpreti |
Brad
Pitt, Jonah Hill, Philip Seymour Hoffman, Robin Wright,
Chris Pratt, Stephen Bishop, Brent Jennings, Tammy Blanchard,
Glenn Morshower, Sergio Garcia |
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Esistono
due categorie di film che proprio non riesco a digerire. Pellicole
per cui scatta automatico un profondo, irrazionale e pregiudiziale
fastidio: la prima categoria è quella delle pellicole
promosse come “tratte da una storia vera”, la
seconda categoria è quella dei film ambientati nel
mondo del baseball.
I film tratti da una storia vera non li tollero perché
è grottesco considerare l’ispirazione ad un episodio
reale un valore aggiunto di un prodotto di finzione, per giunta
articolato con un suo linguaggio e una sua precisa retorica.
Ovvio, questa contestazione non è contro i film, quanto
piuttosto contro una certa ingenuità diffusa tra gli
spettatori che gli uffici marketing spesso cavalcano.
I film ambientati nel mondo del Baseball mi mettono ansia
perché, prima di tutto, mi fanno pensare a Sam Raimi
(sic) nel momento più basso della sua carriera che
dirige un Kevin Costner (uahahaha) nel momento più
disperato della sua carriera e, in secondo luogo, perché
se di tutta la cultura americana Baseball e burro d’arachidi
sono i soli due prodotti che non hanno mai trovato riscontro
alcuno in Europa forse un motivo ci sarà.
Con queste premesse, voi capite, L’arte di vincere ai
miei occhi partiva malissimo. E invece…
E invece ci troviamo di fronte ad un film magistralmente scritto
da Aaron Sorkin, stesso sceneggiatore che già era riuscito
a colpirci in The social network.
Un film dove il Baseball è poco più di un pretesto,
come già lo era Facebook nel film di Fincher, per cogliere
e raccontare in modo sottile un certo spirito dei tempi.
Poi, certo, il regista Bennett Miller non ha il talento di
David Fincher e L’arte
di vincere finisce così per risolversi
tutto nei suoi dialoghi brillanti e nella sua metafora. Perché
a dire che il film è una storia vera ci pensano quelli
dell’ufficio marketing. Uno sceneggiatore sa che una
storia è sempre e comunque una metafora del reale,
anche quando registra o racconta un fatto realmente accaduto
e Aaron Sorkin ci mette uno strepitoso scambio di battute
finali per ricordarcelo. [davide
luppi]
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