A
Cartagena le campane della cattedrale suonano con un'intensità
più forte del solito. Forse è per la Pentecoste.
Ma non è la discesa dello Spirito Santo che viene annunciata,
bensì la morte del dottor Juvenal Urbino, il dottore
che ha salvato la città dal colera, caduto dalla scala
mentre cercava di acchiappare il pappagallo che volava impertinente
da un ramo all'altro del grande albero che domina il giardino.
Ed è l'orecchio attento di Florentino Riza, a capire
la portata di questa morte. È il segnale che aspettava
da cinquant'anni. Cinquant'anni di sofferenza e di attesa,
per la donna che amava da quando aveva quindici anni ed era
ancora un umile impiegato del telegrafo e i suoi occhi incontrarono
quelli magnetici e ipnotizzanti di Firmina Daza, sua coetanea
che viveva nella casa del padre, un arrogante commerciante
di muli. Florentino a settant'anni si precipita da Firmina
appena in lutto per dimostrarle di nuovo e con tutta la passione
di cui è capace, che la ama e che non ha mai smesso
di amarla, e adesso che è venuto meno l'ultimo ostacolo,
potrà finalmente sposarla. Firmina altrettanto fermamente
lo ricopre di insulti e lo caccia via. A questo punto per
Florentino è giunta l'ora di ricostruire il senso di
quell'amore che si è dipanato per oltre mezzo secolo,
e che è coinciso con la più devastante epidemia
che la Colombia e il mondo intero ricordi.
L'amore come malattia, che ti divora dall'interno e ti impedisce
di vivere ma che contemporaneamente come un'ossessione, se
lo accetti, dura in eterno. Florentino, orfano di padre era
un imberbe impiegato del telegrafo, in un'epoca in cui le
distanze erano enormi e scriversi da un capo all'altro dello
stato, non ancora raggiunto dalle strade e dalla civiltà
era un'impresa. Don Lorenzo Daza è da poco tempo giunto
con la figlia nella grande città di mare per arricchirsi
e diventare uno degli uomini più potenti del paese.
Se Don Lorenzo è un diamante grezzo, sua figlia è
una corona tempestata d’oro, una luce che illumina le
persone intorno a sé. Accecato da questa fiamma Florentino
perderà il senno e scrivendo decine di lettere ogni
giorno conquisterà il cuore della sua dea. Il padre
prima li separa, trasferendo tutta la famiglia nelle regioni
più impervie della Colombia, dove Firmina conoscerà
la cugina, una ragazza che le fa scoprire i lati più
corrotti dell'amore, e poi la manda in sposa all'uomo più
influente di Cartagena, il dottor Juvenal Urbino. Mentre Firmina
sceglie la concretezza, mettendo su una famiglia con un uomo
sicuro di sé, maturo e senza tanti grilli per la testa,
Florentino mantiene il suo voto finché sulla sua strada
non incontra donne passionali e carnali che lo seducono e
lo fanno diventare il più affascinante dongiovanni
del Sudamerica. Florentino diventa poeta, la madre disperata
cerca di sistemarlo in tutti i modi, ma Florentino non smette
di rivaleggiare con don Urbino e per ottenere l'attenzione
di Firmina, diventa anch'egli un uomo in vista, assumendo
il ruolo di direttore della compagnia fluviale che gli permette
di essere libero di amare tutte le donne di Cartagena senza
legarsi a nessuna. Ma forse ciò che li separa non è
un ostacolo esterno, prima il padre e poi il marito, ma piuttosto
una diversa visione dell'amore. Florentino offre un sentimento
ipotetico, adolescenziale e incontaminato, mentre Firmina
aspira a costruirsi una vita basata su fondamenta solide e
sicure. Tutto ciò che sembra effimero e aleatorio si
rivelerà più duraturo delle convenzioni borghesi
che la gente elabora per proteggersi dalle ondate di passione
da cui potrebbe essere travolta.
Florentino Riza è un’Eugenie Grandet al maschile.
In questo magniloquente affresco di Gabriel Garcia Marquez,
temi e motivi si rincorrono come una spirale stratificandosi
su tanti di quei livelli che è impossibile non naufragare
con un piacere immenso e onirico. L'amore che racconta lo
scrittore vincitore del premio Nobel è fatto della
stessa materia di cui sono fatti i sogni, impalpabile e vischioso
insieme. Personaggi e situazioni si ripetono all’infinito,
perché all’infinito si ripetono gli istanti salienti
della vita di ognuno di noi che si cristallizzano nella memoria
e determinano la nostra identità e i nostri desideri.
La stessa storia di Florentino Riza è determinata da
due istanti. Il primo è il famigerato colpo di fulmine
di due innamorati. I suoi occhi incontrano quelli di Firmina
in un giorno di pioggia e nulla sarà come prima. Il
secondo istante è quando Firmina, tornata dall'esilio
nelle montagne della Colombia settentrionale, rifiuta l'amore
di Florentino alimentando in lui ancora di più se possibile
un desiderio platonico e irrealizzabile.
Tutto il resto, tutto quello che viene dopo è illusione,
fantasmagoria, proiezione inconscia. Florentino Riza è
un'ombra, dichiara infastidita Firmina quando il nome del
suo spasimante viene pronunciato in sua presenza. Florentino
è tutto quello che potrebbe accadere, se noi non rinunciassimo
a ciò che i nostri impulsi più nascosti ci gridano
dentro di noi, è la vita così come vorremmo
che fosse e che non sarà mai. Accettare Florentino
per le donne come per gli uomini, è semplicemente inammissibile.
La nostra società, a qualsiasi latitudine apparteniamo,
è costruita in modo che un personaggio come lui possa
esistere soltanto nelle pagine di un romanzo. La sua testimonianza
è la nostra fantasia di vivere secondo i nostri desideri
e non secondo i nostri doveri.
Quando un no vuol dire sì. A questo si riduce il capolavoro
di Garcia Marquez nell'adattamento di Mike Newell scritto
per lo schermo da Ronald Harwood già premio Oscar per
Il pianista di Polanski. Una battuta da bacio perugina. Peccato
perché il materiale era affascinante e l'impresa era
degna di una produzione internazionale di stampo anglosassone.
L'amore ai tempi del colera sarà in Italia un incredibile
successo al botteghino così come lo è stato
in tutto il mondo, dove le sale si sono riempite di un pubblico
appassionato che si commuove per questa storia d'amore in
lotta contro il tempo. Certo non per meriti cinematografici,
ma perché una trama così ricca dal punto di
vista romantico cattura sempre l'immaginario dello spettatore.
Ma è stata fatta una scelta superficiale che non rende
giustizia del romanzo, cioè una scelta commerciale
che ripagasse dell'investimento fatto.
Mike Newell dopo lo scanzonato Quattro
matrimoni e un funerale sembra aver perso lo smalto
della commedia e il suo stile dopo Harry Potter sembra aver
concesso un po' troppo alla grande e sfarzosa produzione hollywoodiana.
Sono tre i nodi che fanno crollare la messa in scena: il cast,
la mancanza di scansioni nette e l'impatto visivo. L'intero
cast crolla e sbanda nell'impresa più faticosa della
loro carriera, bruciati da personaggi più grandi delle
loro potenzialità. Bardem e Bratt reggono abbastanza
dignitosamente la scena, più Bardem che Bratt, che
almeno si sforza di lasciar vivere il personaggio di Florentino
senza aggiungere nulla di suo, mentre Bratt talmente intimidito
e ingessato nei costumi coloniali di inizio novecento da trasmettere
un malessere per tutte le volte che appare in scena. Per rendere
credibile una storia del genere serviva una protagonista che
mantenesse il desiderio per cinquant'anni. Giovanna Mezzogiorno,
apprezzata e stimata interprete delle nevrosi contemporanee
di Muccino (L'ultimo bacio) e
di Ozpetek (La finestra di fronte),
sebbene Mike Newell l'abbia scelta perché nel suo curriculum
aveva lavorato con Peter Brook, non è esattamente adatta
a incarnare l'oscuro oggetto del desiderio così come
l'aveva descritta Garcia Marquez.
Il suo fascino emaciato, benché diametralmente opposto
alle paradisiache e lussureggianti bellezze colombiane, carnali
e morbide, non giustifica un'attrazione che possa durare una
vita intera. In secondo luogo manca quasi del tutto una qualche
forma di unità tematica che rendesse la complessità
drammaturgica di una narrazione così dilatata esteriormente
nel tempo e nello spazio. E tra un panorama da cartolina e
un esotismo latinoamericano francamente stucchevole si perde
tutto il lirismo del realismo magico sospeso a metà
tra sogno e desiderio (e fa rabbia pensare che il direttore
della fotografia sia Alfonso Beato collaboratore di Stephen
Frears e Pedro Almodovar).
[matteo cafiero]