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Anno
2012
Nazione
Italia
Genere
drammatico
Durata
112'
Uscita
27/01/2012
distribuzione
01 Distribution |
Regia |
Stefano
Sollima |
Sceneggiatura |
Daniele
Cesarano, Barbara Petronio, Leonardo Valenti |
Fotografia |
Paolo
Carnera |
Montaggio |
Patrizio Marone |
Scenografia |
Paola
Comencini |
Costumi |
Veronica
Fragola |
Musica |
Mokadelic |
Produzione |
Cattleya,
Fastfilm,
Rai Cinema |
Interpreti |
Pierfrancesco
Favino, Filippo Nigro,
Marco Giallini,
Andrea Sartoretti |
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Cobra
(Pierfrancesco Favino), Negro (Filippo Nigro) e Mazinga (Marco
Giallini) sono tre pilastri del reparto Celere della Polizia
di Stato. Sono in pratica quelli che vediamo con caschi, scudi
e manganelli in prossimità di cortei, partite di calcio,
sommosse. In realtà, il loro è un legame cameratesco,
che va molto al di là del rapporto professionale, stretto
intorno a un principio di fedeltà e solidarietà
reciproca che travalica la morale e il senso comune della giustizia,
e che li aiuta a districarsi nella violenza e nello stress con
cui devono confrontarsi quotidianamente, nel lavoro come nella
vita privata. L'arrivo di una nuova recluta (Domenico Diele),
con ancora un concetto ingenuo e un po' astratto del lavoro
del poliziotto, creerà squilibri all'interno del gruppo,
che affronterà i principali eventi della nostra storia
recente con sempre maggior tensione.
“All cops are bastards”
è un motto gettonatissimo fin dagli anni '70 nelle peggiori
curve inglesi e i comportamenti dei protagonisti di questo film
non aiutano granché ad indorare la pillola. Che si tratti
di scortare un treno di tifosi, di sgomberare una casa occupata
o un centro di accoglienza temporanea, il richiamo ossessivo
della violenza è sempre in agguato e le azioni di coloro
che indossano la divisa non sono assolutamente meno biasimevoli
di chi dovrebbe essere tenuto a bada.
D'altronde lo staff creativo è lo stesso della fortunata
serie “Romanzo Criminale”,
che ha fatto di una visione nuova e amorale della malavita il
proprio marchio di fabbrica. Da un punto di vista stilistico
le scelte non cambiano: la sceneggiatura segue parallelamente
le storie private (un padre separato che non può vedere
la figlia, la giovane recluta con la casa prossima allo sfratto)
e la cronaca (il G8, il caso Reggiani, l'omicidio di Raciti)
senza perdere mai il ritmo, ma anche senza scavare troppo in
profondità.
La regia è nervosa e incalzante (a chi vede il bicchiere
mezzo pieno potrebbe ricordare il Kassovitz de “L'odio”,
a chi è meno ottimista, la versione abbellita di qualche
sceneggiato poliziesco in programmazione sulle reti nazionali)
e sempre pronta a sottolineare le scene più significative
con la canzone giusta, senza neppure troppa inventiva (bisogna
essere proprio dei cinefili per avere un dejà-vu osservando
un pestaggio sulle note di “Where is my mind” dei
Pixies?).
Il tutto dovrebbe essere avvolto da un vento di novità,
eppure per chi ha un po' di memoria del secolo appena trascorso,
potrebbe invece tornare in mente quell'effimero filone cosiddetto
“neo-neorealista”, che negli anni '90 raccontò
con altrettanta chiarezza e pessimismo storie di ultrà
invasati, carceri angoscianti e di desolate caserme.
Nell'ultimo lavoro di Clint Eastwood su John Edward Hoover,
a un certo punto si spiega come il capo dell'F.B.I., preoccupato
per il crescente successo dei film sui gangster, si impegnò
personalmente affinché venissero realizzate storie per
il grande schermo che vedessero nel ruolo degli eroi gli agenti
federali e non Al Capone e soci. Chissà se gli sceneggiatori
di questo film avranno pensato che dare al corpo più
osteggiato della Polizia molti atteggiamenti e cadenze degli
squallidi e sanguinari banditi della banda della Magliana, che
sono loro valsi tanto onore mediatico, potesse assicurare la
catarsi. Pare comunque difficile che due ore con ritmo, musica
e rabbia possano compiere un simile prodigio. [emiliano
duroni] |