Richard
Linklater è un cineasta indipendente unico nel suo
genere. Uno sperimentatore sia dal punto di vista contenutismo,
vedi Slacker un saggio narrativo
sulle 24 ore della vita di 100 personaggi, che tecnologico,
come Walk Life e quest’ultimo
A Scanner Darkly in cui le riprese
dal vero sono letteralmente ricoperte dal disegno computerizzato
degli animatori, creando un inusuale corto circuito visivo.
Tale tecnica, così straniante, necessità di
contenuti altrettanto fuori dal comune, come nel caso presente
un racconto, il più autobiografico, sincero e doloroso,
dello scrittore Philip K. Dick, dalla cui penna sono usciti
i racconti che hanno dato vita a mondi paralleli come quelli
di Blade Runner, Atto
di forza, Minority Report.
Il poliziotto sotto copertura Bob Arctor con riluttanza inizia
a spiare le mosse dei suoi amici, Jim Barris, Ernie Luckman,
Donna Hawthorne e Charles Freck fino al giorno in cui gli
viene chiesto di sorvegliare se stesso. Parallelamente inizia
ad accusare alcuni disturbi della personalità e cadute
dell’attenzione, dovute agli effetti di una sostanza
denominata “M” (o “D” in lingua originale),
viatico che lo conduce a vivere un percorso paranoico nell’assurdo,
in cui le identità e la lealtà sono impossibili
da decifrare. “Per rimanere fedele al libro è
stato necessario creare una cosa che è più difficile
nel cinema che nella letteratura, - racconta il regista
- e cioè una commedia che fosse nello stesso tempo
una tragedia. Ho voluto che il film cogliesse l’umorismo
e l’esuberanza del libro, senza trascurarne la tristezza
e la tragicità. È sicuramente una sfida, ma
rappresenta il nucleo della storia”. Un film discontinuo,
disomogeneo, multiforme come il tratto grafico del disegno
computerizzato che veste, esaltandone in alcuni frangenti,
le interpretazioni di un gruppo attoriale composto da magnifici
borderline come Keanu Reeves, Robert Downey Jr., Woody Harrelson,
Winona Ryder. Visivamente interessante, ma alla lunga sfibrante
sia per l’occhio che per l’attenzione. Il tratto
computerizzato tende alla lunga ad appiattire emozioni e sensazioni
rendendoci un mondo filmico asettico ed anestetizzato. Un
incubo tossico che Linklater riempie di colori come per smorzarne
gli angoli più acuti e dolori che però riemergono
in tutta la loro crudezza nell’epigrafe conclusiva a
firma dello scrittore:
Questa
è la storia di persone che sono state troppo punite
per quello che hanno fatto.
Li ho amati tutti. Ecco la lista di coloro ai quali ho dedicato
il mio amore
A
Gaylene, deceduta
A Ray, deceduto
A Francy, psicosi permanente
A Kathy, danni cerebrali permanenti
A Jim, deceduto
A Val, gravi danni cerebrali permanenti
A Nancy, psicosi permanente
A Joanne, danni cerebrali permanenti
A Maren, deceduta
A Nick, deceduto
A Terry, deceduto
A Dennis, deceduto
A Phil, danni permanenti al pancreas
A Sue, danni circolatori permanenti
A Jerri, psicosi permanente e danni vascolari
...e così via.
“In
memoriam. Questi sono stati i miei compagni; non ce ne sono
di migliori. Restano nella mia memoria e il nemico non sarà
mai perdonato. Il “nemico” è stato il loro
errore durante il gioco. Che possano tutti loro giocare ancora,
in qualche altro modo, e che siano felici.” Philip
K. Dick
[fabio
melandri]