Quando il baraccone di giornalisti e operatori tv spegne i
riflettori sull'Afghanistan alla fine della guerra per accenderli
su altre emergenze e altre catastrofi, Daniel Pearl e sua
moglie Mariane fanno la scelta morale più coraggiosa
della loro vita e che saranno costretti a pagare in prima
persona.
Inviato del Wall Street Journal Daniel è alla caccia
degli uomini che hanno organizzato l'attentato dell'undici
settembre e che hanno in progetto altri attentati, altre bombe,
altre stragi, altre bombe. E lo fa trasferendosi con la moglie
incinta di sei mesi, anche lei giornalista, a Karachi in Pakistan
dove si sono radunati i più pericolosi terroristi del
pianeta.
Karachi non è una metropoli come le altre, è
una città talmente popolosa che non se ne conosce nemmeno
il numero esatto di quanti ci vivano. E' una città
dove il traffico è perenne e paralizza ogni attività,
dove chiunque può essere rapito e dove chiunque può
nascondersi senza essere trovato mai. Karachi è il
buco nero che inghiotte la vita umana e il mondo intero. Per
complicare le cose a Karachi hanno installato la loro base,
in attesa di tempi migliori, i talebani in fuga dalle montagne
dell'Afghanistan dopo l'arrivo dei marines. Talebani inquadrati
in cellule di Al Qaeda e finanziati da ricchi e potenti sceicchi
avvelenati da inesauribile sete di vendetta, accecati dall'odio,
che reclutano il loro esercito di kamikaze nella miseria delle
megalopoli asiatiche.
Sono i giorni in cui le televisioni diffondono le immagini
di Guantanamo. Mussulmani prelevati dalle loro case, incappucciati
e incatenati sfilano davanti alle prigioni della base americana
prima di subire interrogatori dove non sono contemplati i
più elementari diritti civili e umani e dove la convenzione
di Ginevra è stata messa alla porta con buona pace
delle organizzazioni umanitarie. Nelle menti già debilitate
dalla fame e dall'oppressione di un nemico invisibile e da
decenni di guerra e devastazione contro un non meglio definito
Occidente, Guantanamo rappresenta l'ennesima provocazione
che non può passare ignorata. Un'umiliazione del genere
è il pretesto che i terroristi non vedevano l'ora di
sfruttare per alimentare il loro senso di vendetta e di odio.
Daniel pensa di aver trovato la storia giusta, è sulle
tracce di una fonte preziosissima che potrebbe rivelare al
mondo intero i futuri piani di Bin Laden. E' prudente, sa
che non può commettere errori, si affida a intermediari
e fixer già collaudati e contatta personalmente gli
ufficiali di polizia prima di montare nel taxi da cui non
farà più ritorno. Daniel si volta indietro per
l'ultima volta, sorride a Mariane, un sorriso di un uomo innamorato
e che resterà nella memoria della moglie per sempre.
Sono raggianti, sono una coppia felice, sono consapevoli dei
rischi che corrono, hanno una vita davanti e l'amore che li
unisce. Ma Daniel non tornerà più indietro e
Mariane affronterà il calvario più duro della
sua esistenza.
Michael Winterbottom prosegue dopo Road
to Guantanamo un tipo di cinema che affronta
gli incubi e i conflitti della società contemporanea
dopo l'undici settembre con un alto senso civile ed etico.
E lo fa realizzando il suo film più bello, forse il
capolavoro di una carriera dalle fasi alterne, cominciata
con il folgorante Butterfly
Kiss, interrotta da commedie anonime e storie
d'amore fantascientifiche e ripresa dalle opere dove è
chiaro uno stile documentario originale e potente.
Un cuore grande
è un film compatto, che non cede alla violenza, ma
segue la cronaca dei giorni del rapimento senza indulgere
in ricatti emotivi o facili effetti.
La storia era talmente forte di suo che gli autori non avevano
bisogno di aggiungere nulla, togliendo semmai le dietrologie,
le sovrastrutture e l'esposizione della crudeltà. Il
punto di vista è tutto nel cuore grande di una donna
che non si arrende mai alla disperazione e che combatte per
il rispetto e la dignità umana. Interpretata da un'Angelina
Jolie resa quasi irriconoscibile dal taglio di capelli che
l'assomigliasse il più possibile alla vera Mariane
Pearl di origini franco cubane, alla sua prova d'attore più
ambiziosa, questa donna persuade il mondo intero sulla giustezza
della causa, coinvolgendo la polizia pakistana, colleghi di
Daniel ed esponenti dell'intelligence americana perché
Daniel non venga abbandonato nelle mani di spietati assassini.
Winterbottom rimane incollato con la macchina da presa dentro
le auto della polizia per le strade e nelle case di Karachi
restituendo il clima di angoscia e di attesa di quel gennaio
del 2003, senza mai tradire un giudizio politico, rimanendo
onesto fino all'ultimo fotogramma. Caso raro al cinema, vedi
la storia così come è accaduta, il cinema al
servizio della cronaca, senza per questo ridurre il linguaggio
cinematografico in uno sterile servizio da telegiornale. [matteo
cafiero]