“Questa
è anche casa nostra!” No, non è la frase
di qualche senatore leghista nei confronti di qualche extracomunitario.
E’ la frase piena di rabbia, rassegnazione, scoramento
che il Capitano della Guardia di Finanza Rita (Valeria Golino)
sputa in faccia al banchiere Ugo (Luca Zingaretti) nel drammatico
(?) confronto finale che caratterizza la nuova fatica di Francesca
Comencini, regista che aveva convinto tre anni fa con Mi piace
lavorare (Mobbing). Ma siccome ripetita non juvant, ecco che
A casa nostra non convince tanto da meritarsi i primi (e unici?)
fischi tra critica e pubblico alla Festa del Cinema di Roma,
nell’ottobre scorso.
Non convince in primis la struttura del film, presuntuosa
nello sviluppare storie che corrono parallele, si incrociano
senza incontrarsi fatta eccezione nel finale, in cui nell’unità
spazio-tempo si ricompone in un unicuum giudizio morale assegnando
premi e ricompense, colpe e punizioni. Non persuade la sua
struttura che ricalca fonti d’ispirazione che vanno
da America Oggi a Magnolia. E mancando la pioggia di rane
salvifica, dobbiamo accontentarci della frase di cui prima,
che suona però tanto vuota quanto ridicola.
Non convince il ritratto del’italietta messa in scena
dalla Comencini e non tanto perché non sia effettivamente
come viene rappresentata, ma perché manca di una vera
dimensione tridimensionale, frutto di luoghi comuni –
seppur veri – di personaggi macchietta che vivono le
storie ed attraversano lo schermo con la stessa consistenza
di un ectoplasma, non aiutati da dialoghi di maniera. Luca
Zingaretti si salva dal decadimento generale grazie al suo
mestiere che lo rende immune da ogni ridicolaggine di sceneggiatura,
la Golino si arrabatta mentre a picco calano Laura Chiatti
(da scult la scena in cui mezza nuda inizia a cantare) ed
il piccolo fratellino Luca Argentero.
E se pensiamo che il film è stato realizzato con il
sostegno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali
la nostra costernazione diviene un fiume in piena… [fabio
melandri]