È la storia (?) di Anne, attrice hollywoodiana al suo
primo ruolo veramente importante. La sua carriera e la sua
vita si intrecceranno fino a diventare un unico incubo personale.
Presentato fuori concorso alla 63° Mostra del cinema di
Venezia, dove il regista è stato premiato con il Leone
d'Oro alla carriera, l'ultimo lavoro dell'autore di Twin
Peaks rappresenta la naturale evoluzione artistica
di Mulholland Drive.
C'è molto del pensiero di Lynch in INLAND
EMPIRE: da un lato Jeremy Irons regista del film nel
film, regista dell'attrice che poi interpreterà il
suo proprio film; un esempio di metacinema, un viaggio senza
ritorno che dal cinema passa al mistero. Dall'altro lato una
collezione delle immagini e degli oggetti lynchiani più
disparati: si vedono conigli pupazzo nelle sitcom, puttane
polacche, giovani donne che piangono, labirinti e sangue che
sgorga. Il regista americano, nel suo film-manifesto, ci descrive
le innumerevoli possibilità del cinema con la più
postmoderna delle sue opere. Siamo anni luce dal cinema-verità
di The Straight Story.
Da sottolineare è la interpretazione di Laura Dern
- ex protagonista di Jurassic Park,
alla terza prova con il suo maestro dopo Velluto
blu (1986) e Cuore selvaggio
(1990) - che assume mille mutevoli volti; il suo cambiamento
e il suo straniamento sono la colonna vertebrale dell'intera
storia. La bravissima attrice è perfetta: sensuale
ed elegante quando serve, allucinata nelle situazioni più
insolite e degradanti.
La prima parte scorre via in una relazione sentimentale che
dal cinema passa alla vita, nella seconda parte il film decolla,
o meglio decolla il viaggio cerebrale di Anne. La storia si
dissolve, entra in campo il frullato di visioni, il puzzle
irregolare di un gatto-regista che gioca col topo-spettatore.
La trama si sdoppia, diventa tripla e quadrupla, crea molteplici
rimandi che sovente si smentiscono.
L'incubo di Anne e gli enigmi surreali che lo compongono permettono
infinite possibilità di effetti speciali e di uso della
fotografia, anche se è il buio, della mente e delle
immagini, a fare da padrone, e ci pensa la colonna sonora
originale del fedele Angelo Badalamenti a far sobbalzare la
platea.
Insomma 180 minuti a spasso per l'impero della mente (INLAND
EMPIRE rigorosamente scritto a caratteri maiuscoli)
che esalteranno i fan del regista - qui per la prima volta
alle prese con il digitale - e faranno notevolmente arrabbiare
i suoi detrattori. Più allucinante di Twin Peaks, più
incoerente di Mulholland Drive, senza trama, senza logica,
senza condanna e senza sentimento. Senza mezzi termini da
amare o da odiare. Sicuramente chi cercherà di capirci
qualcosa ne rimarrà deluso, tentare di comprenderlo
è sinceramente inutile. Se vi arriva allo stomaco,
se vi pulsa sotto la pelle ha avuto effetto: siete nel club
di David Lynch, inevitabilmente qualcuno vi apostroferà
come snob. [simone pacini]
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